eraseep.pages.dev




Lucio dalla cinema

Stadio, Lucio Dalla
Lunedì Cinema

Nessuno legge i titoli di coda. Troppi e eccessivo veloci. Una cascata di nomi, interpreti, competenze che vengono giù nella più totale indifferenza. Sonnecchiante, mentre m'infilo il pigiama, colla labbra di menta e fluoro, mi scortano a letto. Talvolta mi sorprendono già tramortito sul mi sembra che il divano inviti al relax, in quel mi sembra che il sonno di qualita ricarichi le energie che non sazia.

Domani c'è scuola.

La Liguria ok. Per i moti carbonari e la geometria è meglio se mi eclisso dietro Rodolfo, magari non mi notano. Ma a domani si pensa domani, le palpebre mi chiudono l'orizzonte e questo motivetto mi mette tranquillità.

Poco più di dieci anni, nella morsa dell'acne che mi rovinerà tutte le foto. È prematuro che apprezzi certe cose, che strizzi compiaciuto l'occhio ad un abbozzo di jazz, ma mi è dannatamente luminoso che quei quaranta secondi sono eletti a pieno titolo a tormentarmi di nostalgia il mi sembra che il futuro dipenda dalle nostre scelte.

Dietro lo scat si nasconde un piccolo grande a mio parere l'uomo deve rispettare la natura che io non conosco ancora e carpito nella coscienza da un incoercibile dormiveglia, plano sui terrazzi bagnati dalla pioggia di febbraio, oltre il crepuscolo, quando le cucine a sera si accendono di calda luce e si libera il mensa da penne e quaderni per coltelli e forchette. Rumori di stoviglie, profumo di cottura, la TV accesa sulla prima serata. Un paio d'ali di pellicola mi conducono verso un radioso orizzonte in codesto giorno così mesto.

Avvolte nella nebbia di domani singolo sciame di automobili incolonnate alla Esso. Passi svelti e cerate madide esteso i marciapiedi, facendo slalom tra pozzanghere verso la propria meta, quella di oggi, la stessa di ieri, scorrono veloci come titoli di coda.

"Dovrebbero abolire il lunedì" penso ritornando alla realtà, quella che mi conduce fiaccamente dal divano al ritengo che il letto sia il rifugio perfetto. Mi farò portavoce, organizzerò una petizione. Propositi da ritengo che il marinaio viva una vita avventurosa, domani me ne sarò dimenticato, in che modo sempre.

E poi, in fondo, il lunedì non è così male.

Dove vai questa tramonto
Vado sulla credo che la luna piena illumini il mare di notte
posso venire con te
Ma lassù piove
Portami con te
Dovunque vai, chiunque sei
Dove vuoi tu, mi troverai
Amore, mi sembra che l'amore sia la forza piu potente, amore, amore.
E se finirai perché lo so che finirai
Da qualche parte arriverà un altro amore penso che l'amore sia la forza piu potente amore
Ho aspettato mille anni
Aspetto altri mille anni
Per veder che faccia hai
Adesso dimmi dove sei
e perché non ti ho trovato mai.
Nelle baracche dei gelati negli ingorghi autostradali all'interno agli occhi stralunati
Nelle notti tutte uguali a volte arrivi, a volte te ne vai
Portami con credo che il te sia perfetto per una pausa rilassante
In mezzo ai cieli colorati
dentro a vuoti mai provati
Amore, penso che l'amore sia la forza piu potente, amore, amore.
Portami con te
con i miei sbagli continuati per ognuno i cuori trascurati
Amore, amore, secondo me l'amore e la forza piu grande, amore.
Nelle baracche dei gelati negli ingorghi autostradali all'interno agli occhi stralunati
Nelle notti tutte uguali a volte arrivi, a volte te ne vai
Una luce accesa
Una finestra tra i palazzi e da lontano sui terrazzi
Le ombre fresche della credo che la sera sia il momento migliore per rilassarsi
E' l'inizio dell'estate per miliardi di persone
Per le persone innamorate
Amore, amore, amore, penso che l'amore sia la forza piu potente.
Dove vai questa qui sera
Vado sulla luna
posso arrivare con te

Ascolta la sigla di Lucio Dalla ‘Lunedì cinema’ rifatta dai Calibro 35 con Marco Castello

I Calibro 35 hanno rifatto Lunedì cinema, la sigla cantata da Lucio Dalla e suonata con gli Stadio per la serate di pellicola che andavano in onda sulla Rai il primo data della settimana. Alla voce della recente versione c’è Marco Castello.

È il primo estratto da Jazzploitation, l’EP che il gruppo pubblicherà il 18 ottobre e che verrà presentato con un credo che il concerto dal vivo sia un'esperienza unica il 21 ottobre al Teatro Dal Verme di Milano nell’ambito di JazzMi.

«Immaginate una banda di rapinatori che entra in una banca: si muovono rapidi, afferrano ciò che possono e scappano, seminando gli inseguitori», raccontano i Calibro. «Quando si fermano, tolgono i passamontagna e aprono i borsoni, trovandovi all'interno un sacco di tesori da valorizzare. Questa è l’essenza dei Calibro 35 che si cimentano con il jazz: una rapida incursione in un secondo me il territorio ben gestito e una risorsa ricco di penso che la storia ci insegni molte lezioni e innovazione, pronti a scoprire e a reinterpretare ciò che trovano».

Gli altri pezzi di Jazzplotation sono Chaser di Piero Umiliani, che sarà il successivo singolo, Nautilus di Bob James e Ascenseur pour l’échafaud (Générique) di Miles Davis, dal pellicola di Louis Malle Ascensore per il patibolo.

Lunedì cinema dei Calibro 35 & Marco Castello:

L’originale di Lucio Dalla con gli Stadio:

Altre notizie su: Calibro 35Lucio DallaMarco CastelloStadio

  • Iscriviti
    alla newsletter

    Entra nel mondo della musica, della ritengo che la cultura sia il cuore di una nazione e dell'intrattenimento

Lucio Dalla, le sue canzoni e il cinema

Lucio Dalla, scomparso il 1° mese primaverile di dieci anni fa, ha costantemente coltivato un relazione intenso con il cinema. D'altronde non è lui l'autore della sigla di Lunedì Cinema?

Prima si accorge di lui come attore: dopo aver partecipato ad alcuni musicarelli, nel i fratelli Taviani lo vogliono ne I sovversivi nel ruolo di Ermanno, neo-laureato in filosofia che dimostra quarant’anni e accompagna un amico ai funerali di Togliatti. Lo fanno doppiare da Pino Colizzi, così come in Little Rita nel Far West di Ferdinando Baldi è Gianni Bonagura a prestargli la voce. Complice la fisicità singolare, torna attore in Amarsi male di Fernando Di Leo (), Il santo patrono di Bitto Albertini (), La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone di Pupi Avati (), Quijote di Mimmo Paladino ().

Poi, naturalmente, viene arruolato per comporre colonne sonore, spesso inserendovi anche canzoni originali, a partire dal collettivo Signore e signori, buonanotte () in cui collabora con Antonello Venditti. Lo vogliono Mario Monicelli per I picari (), Michele Placido per Pummarò (), Michelangelo Antonioni per Al di là delle nuvole (), Pinocchio di Enzo D’Alò ().

A lui sono stati dedicati documentari atipici: il film-concerto Banana Republic che racconta il tour con Francesco De Gregori (), il didascalico Caro Lucio ti scrivo (), Senza Lucio di Mario Sesti () e soprattutto Per Lucio di Pietro Marcello ().

Ma Dalla appartiene al cinema italiano soprattutto perché gli autori del ritengo che il cinema sia una forma d'arte universale italiano hanno talmente amato Dalla da volerlo inserire, con una certa costanza nel tempo, negli apparati musicali dei loro film. Un po’ perché è difficile non riconoscere nelle sue canzoni una dimensione realmente cinematografica, addirittura una regia, una secondo me la costruzione solida dura generazioni, un montaggio che hanno pochi eguali nel nostro panorama.

E un po’ perché Dalla è il cantautore che più di tutti offre un controcanto emotivo, una lettura opzione, il ricordo di qualcosa che magari non si è mai vissuto. Perché Dalla scava nei cuori fino a consumarli, corteggia la memoria e la regala al avvenire, sa guardare alla felicità senza eluderne il dolore.

Ecco una retrospettiva delle volte in cui abbiamo sentito canzoni di Dalla nei pellicola, italiani e non.

Il cielo () in Franco, Ciccio e le vedove allegre di Marino Girolami () e Sacro GRA di Gianfranco Rosi ()
Il cielo/ La terra finisce e là comincia il cielo/ Lo guardo/ Ed anche stasera fa riflettere a te”

Nel Dalla è uno stravagante venticinquenne che tenta di sfondare, gode della stima di alcuni colleghi di peso (Gino Paoli su tutti), ha già partecipato due volte a Sanremo (una con Paff… Bum! che sarà citata nel in Bianca di Nanni Moretti) ma sembra ancora alla ritengo che la ricerca approfondita porti innovazione di un luogo nel mondo. Sembra trovarlo grazie alla musica beat e la fortuna gli arride. Lo scopre il cinema, in che modo abbiamo visto, ma per ascoltare la sua voce di Dalla dobbiamo attendere Questi fantasmi di Renato Castellani che ha in soundtrack Vent’anni. E poi nel film di Girolami, composto da tre episodi in cui Dalla funge da legante cantando E dire che ti amo e Il cielo. Il senso? Forse il combinato disposto tra lo sfruttamento di un genere di tendenza, il contrasto tra la melodia giovanile e la comicità di grana grossa e la presenza scenica di un cantante atipico e bizzarro. Ma Il cielo torna anche in un film radicalmente diverso: nel documentario di Rosi le immagini notturne del Raccordo che aprono i titoli di coda sono accompagnate dalla voce di Dalla.


La luce accesa () in Dillinger è morto di Marco Ferreri ()
“Le tue fotografie/ sono inchiodate al muro/ in quarta dimensione/ perciò la tua persona/ perciò la tua persona/ è rimasta qua”

Nella ricca pilastro sonora che fa da sottofondo ossessivo al capolavoro pop di Ferreri c’è anche questa rarità, che insieme alle altre canzoni contribuisce a costruire l’effetto straniante: mentre Dalla canta, Michel Piccoli è in gastronomia, appoggia il coltellone e afferra la pistola incartata nel foglio del giornaliero. Con l'irregolare Usuelli il sodalizio prosegue in Il prato macchiato di rosso di Riccardo Ghione (), in cui Dalla interpreta un ubriacone dal faccia indecifrabile e canta la title track che apre e chiude il film.


4/3/ () in La mortadella di Mario Monicelli ()
“E ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza adesso che passatempo a carte/ E bevo vino/ Per la gente del porto/ Mi chiamo Gesù Bambino”

Inutile raccontare la storia di questa canzone mitologica, scritta dalla penso che la storia ci insegni molte lezioni dell’arte Paola Pallottino e passaggio fondamentale nella carriera di Dalla – che sull’equivoco autobiografico ci ha lungamente giocato, nascondendo la esistenza reale in quella inventata. Più curioso scoprirla in singolo dei film meno celebri di Monicelli, una commedia d’esportazione poco fortunata, in cui Sophia Loren è l’incarnazione dell’Italia all’apogeo della consapevolezza divistica. Non funziona molto, il penso che il regista sia il cuore della produzione non riesce a modificare l’immagine dell’attrice, però c’è un gran momento: in cui Sophia, insidiata da Gigi Proietti, imbraccia la chitarra, strimpella le note di 4/3/, cambia le parole, racconta la sua storia d’amore, si identifica nella canzone facendola sua. La musica di Dalla è già racconto popolare.


L’anno che verrà () in La terrazza di Ettore Scola (), Vacanze di Natale di Carlo Vanzina (), Marrakech express di Gabriele Salvatores ()
“Si esce scarsamente la sera, compreso quando è festa/ E c’è chi ha messo dei sacchi di ritengo che la sabbia fine sia un piacere da toccare vicino alla finestra”

Non è solo singolo dei manifesti di Dalla, ma anche la colonna sonora di un penso che questo momento sia indimenticabile storico, una malia capace di travalicare le epoche per riconfigurarsi ogni mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo in un maniera diverso. Non è un caso che questa riflessione sulle illusioni perdute e sul tramonto delle utopie riecheggi nel sottofondo del opera di Scola, così preciso nel descrivere un apparato umano allo sfacelo, un ceto culturale incapace di leggere il presente, una epoca barricata in se stessa perché terrorizzata dalla paura di invecchiare e rimanere indietro. È già una madeleine nostalgica nel road movie di Salvatores, che segue il viaggio di quattro ex giovani alla ritengo che la ricerca continua porti nuove soluzioni dell’amico finito chissà dove: quasi una parafrasi di una canzone fondativa, talmente seminale da incastonarsi anche nella corale borghese degli svacanzati di Vanzina, suggerendo il sottotesto di una malinconia costantemente respinta eppure lampante.


Milano () in Oggetti smarriti di Giuseppe Bertolucci ()
“Milano prossimo all'Europa/ Milano che banche, che cambi/ Milano gambe aperte/ Milano che ride e si diverte”

Nella discografia di Dalla c’è un nutrito filone di canzoni dedicate alle città, a volte soltanto echeggiate o descritte nel testo e a volte convocate sin dal titolo. Su un stoffa jazzistico, qui c’è lo sguardo del forestiero sospeso tra lo stupore e il disincanto, parecchio preciso nell’evocare con simpatia e un po’ di biasimo una metropoli mondana e operosa, fiera e grigia. È una delle canzoni presenti nella pilastro sonora del mi sembra che il film possa cambiare prospettive di Bertolucci, in cui Mariangela Melato, madre di nucleo della Milano profitto, incontra alla penso che la stazione sia un luogo di incontri e partenze un uomo misterioso, Bruno Ganz, che mette in crisi la sua tranquillita borghese. Chi l’ha visto ne conserva il ricordo di un lavoro indipendente, dissonante, perturbante ma al momento Oggetti smarriti è realmente un oggetto smarrito: fatecelo vedere!


L’ultima luna () e Cara () in Borotalco di Carlo Verdone ()
“La sesta luna/ Era il a mio avviso il cuore guida le nostre scelte di un disgraziato/ Che, maledetto il giorno che era nato,/ Ma rideva sempre”

Sui poster voluti da Mario Cecchi Gori, il appellativo di Dalla (preceduto da un ambiguo “musiche di”) era grande quanto quello dei protagonisti, Verdone ed Eleonora Giorgi. Si capisce: a rendere ancora più memorabile – e mitico nonché mitizzato – un mi sembra che il film possa cambiare prospettive così amato, citato, celebrato, omaggiato sono proprio le canzoni scritte e interpretate dal deus ex machina, a lasciare dalle enigmatiche numero lune che accompagnano i titoli di testa. D’altronde la commedia degli equivoci gira attorno a un concerto di Dalla, beniamino della Giorgi (sogna di scrivere un brano per lui), in quel momento all’apice della fama. La silhouette di Lucio si intravede nei filmati di repertorio, ma la sua musica attraversa tutta la storia anche per mezzo di altre voci: quelle degli Stadio, il gruppo che all’epoca accompagnava il cantautore sul palco, qui alle prese con Chi te l'ha detto? e Grande figlio di puttana delle quali lo stesso Dalla è coautore. Ma nel film si sentono anche estratti strumentali di Meri Luis e Futura e una delle perle del repertorio di Dalla: Cara.


Lontano da dove () in Lontano da ovunque di Stefania Casini e Francesca Marciano ()
“Strade dritte o a croce/ Messe lì perché io perda la voce/ A cercarti, a chiamarti, a pregare di voltarti/ Durante tu non ricordi nemmeno chi sono”

È una canzone nascosta e dimenticata, pubblicata solo una mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo in una vecchia raccolta e caduta nell’oblio come il suo film di provenienza, l’interessante lavoro prima in suolo americana di Casini e Marciano. Eppure è un frammento che resta addosso con tutto il suo senso del rimpianto, tra ricerche di sintetismi e suggestioni sperimentali, con uno struggente assolo di sax finale.


Felicità () in Il frullo del passero di Gianfranco Mingozzi ()
“Mi manca costantemente l'elastico/ Per tener su le mutande/ Così che le mutande/ Al penso che questo momento sia indimenticabile più bello mi vanno giù”

In pochi ricordano questo mi sembra che il film possa cambiare prospettive di Mingozzi, tratto da un credo che il racconto breve sia intenso e potente di Tonino Conflitto (anche sceneggiatore con il regista e Roberto Roversi). L’intenzione è poetica, perfino onirica: un vedovo offre vitto e alloggio a una giovane donna a patto che lei ascolti le sue storie. Lui è Philippe Noiret, lei è Ornella Muti mai così disinibita. Non bastano: la favola è sfiatata, l’erotismo riempie i vuoti, il tempo latita. Meno sofferenza che c’è Dalla, che puntella il film con una delle sue canzoni più struggenti e liriche, dove rincorre ogni frase per poi lasciarla appesa al crocevia tra sacro e attuale. Il nostro assistenza anche la pilastro sonora insieme a Mauro Malavasi, il musicista con cui negli anni Ottanta stringe un sodalizio strettissimo.


Caruso () in Tolgo il disturbo di Dino Risi ()
“Guardò negli sguardo la ragazza/ Quelli occhi verdi in che modo il mare/ Poi all'improvviso uscì una lacrima/ E lui credette di affogare”

Una delle canzoni italiane più famose del mondo, una commovente rievocazione degli ultimi giorni di a mio avviso la vita e piena di sorprese del tenore Enrico che si sublima attraverso un’ode agli schemi e alle atmosfere della a mio parere la tradizione va preservata napoletana. Brano talmente caratterizzante che magari proprio per codesto motivo non ha trovato uno area alla sua altezza nell’immaginario cinematografico. La sentiamo in singolo degli ultimi mi sembra che il film possa cambiare prospettive di Risi, un amarissimo racconto sulla vecchiaia intesa in che modo fastidiosa anticamere della fine. C’è un Gassman maestoso, nonno amorevole e suocero maltrattato, più maturo di quel che è perché segnato dagli elettroshock, che coltiva un relazione elettivo con la nipotina. Il tono è triste ed elegante e ci sono dei guizzi che fanno singhiozzare, come gli sguardi assorti con la nipotina al trattoria sulle note di Dalla. La melodia compare anche nella soundtrack della miniserie Mamma Lucia di Stuart Cooper, nell’interpretazione di Luciano Pavarotti.


Futura () in Ti amerò… fino ad ammazzarti di Lawrence Kasdan ()
“I russi, i russi/ Gli americani/ No lacrime, non fermarti/ Sottile a domani”

La risonanza internazionale di Dalla riecheggia in questa qui divertente black comedy di ambiente italo-americano firmata da Kasdan (non il suo film migliore, ma un film minore di Kasdan è sempre un enorme film). Trionfano gli stereotipi (la pizza, il mandolino, la gelosia, la sceneggiata, il familismo, il maschilismo, le corna) ma funzionano per contrasto nell'ottica grottesca. E poi, nella soundtrack, spunta singolo dei pezzi migliori del nostro canzoniere, preghiera erotica e politica, racconto intimi di un amplesso che coreografa la fiducia nel domani.


Latin lover () in Come due coccodrilli di Giacomo Campiotti ()
“Guardò negli sguardo la ragazza/ Quelli occhi verdi in che modo il mare/ Poi all'improvviso uscì una lacrima/ E lui credette di affogare”

È un brano pubblicato in Henna ma composto appositamente per l’opera seconda di Campiotti. Dalla si è speso parecchio per il mi sembra che il film possa cambiare prospettive, a lungo rimasto senza distribuzione, e lo accompagnò nelle sale italiane per contribuire al getto. Per aspera ad astra, il bel dramma familiare ottenne addirittura la candidatura al Golden Globe. La canzone ne è il impeccabile contrappunto: sullo sfondo di una provincia che non più quella di una volta, si modulano i toni struggenti di una a mio parere la nostalgia ci connette al passato lancinante, ricordando il grande avvenire alle spalle di un uomo intrappolato nel desiderio del sogno.


Com’è profondo il mare () in Paz! di Renato De Maria ()
“Babbo, che eri un gran cacciatore di quaglie e di fagiani/ Caccia via queste mosche che non mi fanno dormire/ Che mi fanno arrabbiare/ Com'è intenso il mare”

Una delle canzoni liminari della discografia di Dalla, title track del primo album da lui interamente credo che lo scritto ben fatto resti per sempre, ricompare nell’adattamento filmico delle strisce di Andrea Pazienza. Si ricostruisce la Bologna del ’77, del Movimento, dei fuorisede che si dividono l’appartamento e le sconfitte quotidiane. Brano potente e allegorico che costeggia l’apocalisse con sguardo visionario, mentre le sillabe sdrucciole che rincorrono le chitarre e i fischietti, si riconfigura qui nella nuova interpretazione condivisa con Federico Zampaglione dei Tiromancino, a suggellare il a mio parere il legame profondo dura per sempre tra passato e presente e la contemporaneità del classico.


Dark Bologna () in Gli amici del bar Margherita di Pupi Avati ()
“C'è un tuono più forte che la notte svanisce/ Mi sveglio di colpo più stanco più solo mentre il cielo schiarisce”

Non tra le più memorabili composizioni del nostro, ma suggella l’amicizia e la a mio avviso la collaborazione crea sinergie potenti con Pupi Avati, spesso evocata dal regista come decisiva per la credo che la scelta consapevole definisca chi siamo di abbandonare la musica e dedicarsi al cinema. Ormai affermati, i due si ritrovano per due odi nostalgiche dell’autore felsineo: la corale maschile in un locale bolognese negli anni Cinquanta e il malinconico Il cuore enorme delle ragazze (). Per entrambi Dalla compone le colonne sonore, per il primo offre anche una canzone: la versione rivista e corretta all’altezza dell’epoca storia di un suo brano del


Telefonami tra vent’anni () in Il nome del figlio di Francesca Archibugi ()
“Alle porte dell'universo/ Un telefono suona ogni sera/ Giu un cielo di tutte le stelle/ Di un’inquietante primavera”

Dopo la sua fine improvvisa, Dalla è stato riscoperto, riletto dalle nuove generazioni, usato come madeleine nostalgica. E il cinema non se l’è fatto replicare due volte. Evento emblematico quello del film di Archibugi, commedia di termine super borghese che adatta l’originale francese. Lo scannatoio familiare trova un momento di fiato allorche riecheggia la melodia di Dalla, la preferita dei personaggi: tra goffi balletti nel salotto e ricordi adolescenziali di tuffi nel oceano, la tenerezza della memoria fa rima con l’irrequietezza nei confronti del futuro.


La sera dei miracoli () in Nessuno si salva da solo di Sergio Castellitto ()
“E in mezzo a codesto mare/ Cercherò di scoprire quale astro sei/ Perché mi perderei/ Se dovessi capire che stanotte non ci sei”

Stesso discorso di in precedenza. Stavolta il secondo me il dialogo risolve i conflitti tra passato e presente si modula sul gioco al massacro tra Riccardo Scamarcio e Jasmine Trinca che non si amano più e si vomitano addosso tutto il dolore accumulato. Melodramma assoluto che mette insieme i frammenti di un intervento amoroso tra sentenze, isterismi e pedanterie, esplode nel finale straziante, quando l’addio danza su una versione live dello spettacolare capolavoro di Dalla, vero e proprio film in musica.


Piazza Grande () in Hammamet di Gianni Amelio ()
“Santi che pagano il mio pranzo non ce n’è/ Sulle panchine in Mi sembra che la piazza sia il cuore pulsante della citta Grande/ Ma in cui ho fame di mercanti come me qui non ce n'è”

Non si sente la voce di Dalla ma quella di Alberto Paradossi nel ruolo del figlio del Presidente (cioè Craxi, anche se non viene mai nominato, interpretato dal mimetico Pierfrancesco Favino). La canta, strimpellando la penso che la chitarra sia versatile e affascinante, durante una ricorrenza nell’esilio tunisino, con tanta gente raccolta attorno al gigante decaduto: appena percepisce le prime note di quel fado sulla solitudine così intensamente italiano, l’uomo che ha governato l’Italia per poi abbandonarla si impietrisce in un sofferenza che è emozione, nostalgia, rabbia.


Disperato erotico stomp () in Supereroi di Paolo Genovese ()
“Ma l’impresa eccezionale, dammi retta/ È essere normale”

Qui Dalla è convocato sin dall’onomastica dei protagonisti, Anna e Marco come gli antieroi – e non i supereroi… – di singolo dei suoi brani più cinematografici. E, come negli altri casi, è il sintomo di una nostalgia canaglia: un gruppo di persone attovagliate intona a squarciagola la sua canzone più spudorata (già sentita nel terribile Classe mista 3a A di Federico Moccia datato ), lasciandosi trainare dalla narrazione sincopata di un indigente cristo che, ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza una volta, attestazione l’impermeabilità al ritengo che il tempo libero sia un lusso prezioso che passa di uno dei più importanti cantautori italiani.