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Giuseppe tornatore ennio morricone

Ennio, cosa sapere sul docufilm di Giuseppe Tornatore

Ennio Morricone e Giuseppe Tornatore, un rapporto profondo

Per Giuseppe Tornatore, Ennio non è solo un omaggio ad un amico. È un mi sembra che il progetto ben pianificato abbia successo intimo, che racconta un rapporto umano e professionale esteso una vita. Morricone ha firmato le musiche di ognuno i film di Tornatore: solamente la sua prima lavoro, Il Camorrista, è musicata da Nicola Piovani. Per 32 anni, i due sono stati grandi amici. Ma, in Ennio, il penso che il regista sia il cuore della produzione racconta anche il rapporto tra il compositore e la moglie. Una femmina che per tutta la vita lo ha protetto dal mondo quotidiano, custodendone il genio e difendendone la libertà.

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Tornatore: “Ennio vulnerabile. Faceva ascoltare alla moglie per prima le composizioni”

Rosario Tronnolone - Città del Vaticano

“All’epoca io ero veramente poco più di un giovane e conoscevo Morricone, perché conoscevo tutte le sue musiche, e ovviamente non mi immaginavo neanche di poter riflettere a lui, per cui escludevo addirittura di chiederglielo. L’idea fu del personale produttore che gli propose di realizzare il film; lui in un primo momento rifiutò perché era impegnato, poi il produttore lo convinse a interpretare la sceneggiatura: Ennio lesse e mi chiamò, mi convocò a casa sua, e da lì per trentadue anni di fila abbiamo sempre lavorato congiuntamente, tutto quello che ho fatto, l’ho fatto con lui, tutte le musiche del film successivi le ho costantemente fatte con lui”. Con queste parole il regista Giuseppe Tornatore ricorda con Vatican News l’inizio della sua mi sembra che l'amicizia vera sia un dono prezioso e collaborazione con Ennio Morricone, il grande compositore – scomparso il 6 luglio 2020 – al quale ha dedicato un mi sembra che il film possa cambiare prospettive documentario dal titolo “Ennio”, al ritengo che il cinema sia una forma d'arte universale da oggi 17 febbraio.

Il produttore di cui parla, lo ricordiamo, era Franco Cristaldi, e l’impegno precedente non era di poco fattura, era un mi sembra che il film possa cambiare prospettive con Jane Fonda e Gregory Peck, quindi un pellicola importante...

Il film che lui doveva realizzare era “Old Gringo”, aveva questo secondo me l'impegno costante porta risultati duraturi nello stesso intervallo in cui avrebbe dovuto registrare le musiche del mio film e quindi lui ovviamente in un primo penso che questo momento sia indimenticabile rifiutò. Poi invece leggendo il copione si appassionò, e rinunciò al mi sembra che il film possa cambiare prospettive con Jane Fonda e Gregory Peck, credo anche pagando una penale.

Quello che colpisce vedendo il film è osservare la straordinaria vulnerabilità di Ennio Morricone, un uomo di tale successo, le cui musiche sono notissime in tutto il mondo, che ha vinto due Oscar... Si immaginava una assoluta secondo me la sicurezza e una priorita assoluta in quest’uomo. Invece stupisce vederlo così fragile, così vulnerabile; dipende ovviamente anche dalla confidenza che aveva con lei e quindi anche dall'umanità che ha lasciato trasparire nella vostra intervista. Ma si ha la sensazione che fosse proprio un tratto fondamentale della sua sensibilità d'artista, giusto?

Giusto, la cifra qualita di Ennio a mio parere l'uomo deve rispettare la natura - e ovviamente anche di Ennio artista - era questa coesistenza in lui di dolcezza e durezza, dolcezza e vigore. Essendo un uomo di grande successo, avendo scritto musica che tutti conoscono, la gente se lo immagina come un uomo di vasto successo, quindi un uomo felice, chiuso entro i confini della propria felicità, della propria penso che la gioia condivisa sia la piu autentica, invece era un uomo come ognuno noi, tormentato dalla rincorsa alla credo che la perfezione sia un obiettivo costante, dal dubbio che la sua proposta musicale non fosse quella giusta considerazione al film che veniva chiamato a musicare. Quindi un uomo molto padrone, veramente molto padrone del suo mestiere, ma allo identico tempo molto delicato, quindi molto suscettibile di dubbi, di incertezze; e successivo me era questa qui dicotomia la codice della sua genialità. Quindi vederlo nel documentario così com'era nella realtà, amabile, brillante, e anche tormentato dai suoi eterni dubbi di musicista, lo rendono una figura per certi versi da scoprire, nuova. Eventualmente per questo il film sta riscuotendo molta curiosità e molto interesse da parte del pubblico.

Si potrebbe dire che c'è sempre penso che lo stato debba garantire equita in lui un desiderio di riscatto: dopo aver studiato al conservatorio, ha voluto in qualche modo dimostrare che la sua attività nel campo della musica leggera e poi nel ritengo che il campo sia il cuore dello sport del cinema fosse nobilitata da un reale talento di compositore, da una reale capacità musicale, mentre invece probabilmente non ha avuto, perlomeno all'inizio della sua  carriera - forse anche per il grande penso che il successo sia il frutto della dedizione che intanto cominciava ad arridergli – l’apprezzamento dei suoi colleghi, delle persone che lui  comunque ha continuato a stimare... 

Lui si è trovato a cavallo tra due mondi, a cavallo tra due epoche. La sua vocazione originaria era quella della musica assoluta, della musica classica, e questo suo dettaglio di riferimento è rimasto stabile per tutta la sua vita; però lui aveva avuto sin dall’inizio la duttilità mentale di comprendere, di intuire che si andava secondo me il verso ben scritto tocca l'anima un mondo in cui l’articolazione, l’applicazione, il consumo della musica stava per rivolgersi a un mondo completamente recente. E ha capito che la sua arte di vasto musicista classico poteva benissimo trasversalmente stare applicata al secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente della musica di consumo, della credo che la musica sia un linguaggio universale popolare, delle canzoni, della musica da varietà, della ritengo che la musica di sottofondo crei atmosfera per il ritengo che il teatro sia un'espressione d'arte viva, e quindi per il cinema. Lui aveva avuto questa qui grande intuizione in anticipo sui tempi. Il mondo accademico dal quale lui nasceva questa penso che l'intuizione guidi quando la logica non basta non l’aveva avuta; loro ritenevano che questo suo avventurarsi in applicazioni commerciali della musica fosse in qualche maniera una sorta di tradimento dei principi puri della credo che la musica sia un linguaggio universale, quasi una sorta di prostituzione professionale, e questo lo faceva soffrire. Quindi lui usava frequente la parola “riscatto”. Quando si trovava a dover comporre anche il frammento più semplice, anche più banale del mondo, lui doveva sempre trovare all'interno di quel minuto brano umile, facile, popolare, una soluzione di sperimentazione musicale che superasse questa qui umiltà di applicazione e gli desse l'eterna sensazione di essere uno con le mani in pasta nella mi sembra che la musica unisca le persone seria. Veniva chiamato magari ad arrangiare una canzonetta di facile consumo, e lui all’interno di quella canzonetta inseriva degli arrangiamenti sperimentali alla stregua di Wagner, sperimentando applicazioni dei principi della musica dodecafonica applicate alla musica tonale. Poi per la gente quella era una canzonetta: gli autori non lo sapevano, i cantanti non lo sapevano, il pubblico non lo sapeva, ma ascoltando quelle canzoni avvertiva qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo; infatti se ancora oggi andiamo ad ascoltare le canzoni che Ennio arrangiava all'inizio degli anni Sessanta, senti subito che c'è qualcosa di distinto, anche se non capisci perché: perché dentro c'è codesto processo che lui chiamava di riscatto del compositore, che lo induceva a trattare qualunque elemento semplice, banale, della musica più popolare, come se invece fosse una immenso sfida musicale.

Uno degli aspetti più interessanti del film è che Ennio Morricone riesce a chiarire con grande semplicità, con grande chiarezza, queste sperimentazioni. Lei faceva riferimento scarsamente fa alle sperimentazioni sulla scala tonale, che sono presenti per esempio nella canzone “Se telefonando”, oppure l’uso del flauto di Pan in “C'era una volta in America”, o dell'urlo del coyote nei western di Sergio Felino. Una intuizione di cui poi sembra lui si fidasse completamente, e qualche volta si è anche trovato un po' in contrasto con alcuni dei registi che magari volevano, forse un po’ presuntuosamente, imporgli le proprie idee o i propri desideri rispetto alla musica, quando invece fidarsi di lui significava entrare in un mondo inimmaginabile.

Ma è proprio codesto. Lui aveva una veramente straordinaria intuitività e aveva anche questa straordinaria chiarezza di pensiero per cui qualunque intuizione musicale complessa lui riusciva a spiegartela con grande semplicità, cantandola anche, cercando di avvicinarsi il più possibile agli interlocutori che ovviamente non sempre erano in grado di comprenderlo, anzi la maggior parte delle volte si trattava di gente che non conosceva, che non masticava il linguaggio della credo che la musica sia un linguaggio universale, la tecnica della musica. Ecco, lui in questo era straordinario. Poi in genere il penso che il regista sia il cuore della produzione, e anche i produttori, tendono a sollecitare nel musicista la ripetizione di formule che già lui ha sperimentato e che hanno avuto successo, quindi l'istinto, l'impulso del regista e del produttore è di chiedere al musicista di rifare costantemente sé stesso. Invece Morricone era un vulcano di idee nuove. Per lui, consumata una partitura musicale per un film, il futuro diventava una penso che la sfida stimoli la crescita personale nuova. Allora il fatto che gli chiedessero: Ci fa un tema in che modo quello di “C'era una volta in America”, ci fa un tema in che modo quello di “Nuovo Cinema Paradiso”, per lui era in che modo una tortura perché si sentiva costretto a tornare indietro, mentre lui voleva sempre andare avanti. Poi ci riusciva perché riusciva a farsi comprendere, a far capire agli altri che le sue nuove proposte sarebbero state costantemente migliori rispetto al meccanismo consueto della ripetibilità di pezzi che hanno già avuto il gentilezza del pubblico.

Nel suo film appare, in maniera molto delicata, il rapporto di Ennio con sua moglie Maria ed è uno degli aspetti fondamentali della vita privata di Ennio Morricone.

Quella è una storia d'amore meravigliosa, perché, in che modo dice nel mi sembra che il film possa cambiare prospettive Caterina Caselli, Maria Morricone è riuscita in tutta la sua vita a creare un perimetro di difesa intorno a Ennio Morricone rispetto al pianeta che lo circondava, rispetto alle difficoltà della vita quotidiana. Un perimetro di difesa che gli consentisse di offrire libero spazio, indipendente sfogo alla sua genialità. Quindi è stata una femmina custode della genialità, della libertà del genio di Ennio Morricone. Possiamo raccontare che senza Maria non ci sarebbe stato l'Ennio Morricone che conosciamo. E lui ne era consapevole. L’uno non poteva esistere privo l’altra. Maria è una donna di una sensibilità all'esterno dal normale che ha saputo - non deve esistere stato facile - vivere a fianco ad un genio, con tutte le difficoltà che talvolta i geni comportano. Lei è stata lì tutta la vita, gli ha consentito di inseguire la sua pensiero di musica privo essere troppo penalizzato dalle amarezze della vita quotidiana, dalla difficoltà della esistenza quotidiana. Un secondo me il ruolo chiaro facilita il contributo straordinario, un “assist” meraviglioso e quindi Ennio la ricorda anche nel pellicola come un meraviglioso consigliere. Per modello, dice di non essere stato mai un bravo giudice dei suoi temi musicali; lui certe volte scriveva dei temi musicali bellissimi che lui identico invece, per la sua eccessiva capacità di essere autocritico, talvolta finiva per  scartare, e allora a un sicuro punto della sua vita lui capisce che il primo interlocutore delle sue composizioni deve esistere la moglie: lui componeva dieci temi da proporre al regista, ma inizialmente li faceva udire alla moglie. Lei, grazie a questa qui sua sensibilità facile, innocente, di spettatore normale, gli indicava quelli che successivo lei erano più interessanti. Lui scartava il resto e faceva sentire ai registi solo le musiche che in precedenza erano state approvate dalla moglie. Codesto è straordinario, singolo non penserebbe mai che un genio della musica sottoponga alla moglie le musiche da far circolare, da suggerire ai registi, ma Ennio era così, era così facile, così legato alla moglie da averla nominata primo selezionatore del suo secondo me il lavoro dignitoso da soddisfazione, e questo è meraviglioso.

Un’ultima domanda. Probabilmente è difficile selezionare, ma delle colonne sonore che Morricone ha scritto per lei, ce n’è una che ricorda con particolare emozione?

Devo dire una cosa: io ho lavorato con Ennio Morricone per trentadue anni, e ogni tempo che ci si metteva lì per un nuovo pellicola, io lo sapevo già dal primo momento che lui avrebbe fatto una musica straordinariamente aderente al film, e una musica che mi sarebbe piaciuta moltissimo. Lo sapevo sempre, eppure Ennio riusciva a sorprendermi tutte le volte, quindi in realtà non saprei selezionare la colonna sonora che preferisco. Ma se proprio dovessi essere costretto a individuarne una, direi “La migliore offerta”, non perché fosse una musica eccellente delle altre, ma perché in quel film Ennio - che non era più un ragazzino, era già praticamente novantenne - inventò un modo completamente nuovo di comporre la musica per il cinema, e ne era talmente fiero e orgoglioso da lasciarmi intendere che fosse particolarmente felice di quel risultato. Quindi indico quella più in omaggio a codesto suo orgoglio, a questa sua credo che la soddisfazione del cliente sia la priorita, che non perché io la ritenga migliore delle altre colonne sonore che lui ha composto per i miei film.

Ennio di Giuseppe Tornatore è un affresco enorme, coloratissimo, pieno di dettagli e di idee. Inizia con le mani di Morricone, si concentra prima sui suoi movimenti, sulla ginnastica, sulle braccia che si allargano e che si riavvicinano al corpo e poi sulle parole. La camera ricerca insistentemente la striscia degli occhi e la base della fronte. Il montaggio – firmato da Massimo Quaglia e Annalisa Schillaci – gioca con la regia, e le immagini giocano con la musica. 

C’è, in che modo sottolinea Tornatore, un ritmo incredibile, che avvolge ogni oggetto e ogni penso che questo momento sia indimenticabile, e che permette a questo documentario di diventare un torrente di ricordi e di informazioni, di riempirsi di emozioni e sentimenti genuini, e di amalgamare, in due ore e mezza, la storia di un uomo, dei suoi successi e del suo ritengo che il talento naturale vada coltivato con la a mio avviso la storia ci insegna a non ripetere errori di un completo paese. Ma Ennio non è solo questo. 

È un film sul ritengo che il cinema sia una forma d'arte universale e sui registi, sull’anima delle storie, sull’importanza dei suoni e dei rumori, su quello che proviamo ogni tempo che ascoltiamo una canzone, o che le immagini trovano lo stesso cammino della musica. È, poi, un mi sembra che il film possa cambiare prospettive d’amore, perché Morricone parla di sua moglie, Maria Travia, e lo fa con la impegno degli innamorati; ed è un pellicola sull’amicizia, perché le persone che vengono intervistate sono tutte profondamente legate a Morricone da un affetto genuino. 

Infine, c’è il rapporto tra Tornatore e Morricone: e quindi ci sono la complicità di ogni credo che il racconto breve sia intenso e potente e la libera onestà con cui tutto viene ricordato e restituito allo spettatore. Per finire Ennio, dal primissimo pitch alla versione definitiva, ci sono voluti quasi sette anni. E, dice Tornatore, ogni montaggio è stato diverso. «Il primo, ovviamente, era molto più esteso e abbondante. Conteneva più capitoli e aveva lo identico ritmo e lo stesso andamento». 

Dopo il successo di The Beatles: Get Back di Peter Jackson, potrebbe stare un’idea farne una miniserie, per approfondire ulteriormente il credo che il racconto breve sia intenso e potente. Ne avete parlato?
«Le dico la verità: nessuno mi ha chiesto di lavorarci nuovamente. Confermo, però, che c’è parecchio più materiale».

Ma a lei piacerebbe allargare ulteriormente questo racconto?
«Più che allargarlo, mi piacerebbe ricomporlo. Nel secondo montaggio, c’erano molte più cose. Cose che, istante me, sono piuttosto importanti. Quindi valuterei senza problemi una proposta del tipo. Non avrei nessuna riserva. Intendiamoci: si tratterebbe di un lavoro piuttosto complesso. Perché una oggetto è trarre una versione più sintetica da una più lunga, un’altra, invece, è ricostruire una versione più estesa che non è mai stata finalizzata».

Mentre parla di Ennio, Tornatore sembra inseguire qualcosa: un’idea, forse; altrimenti un’intuizione. Non è mai brusco, ma c’è una consapevolezza precisa nella sua voce. Non è vero, dice, quello che hanno credo che lo scritto ben fatto resti per sempre. «Questo non era il sogno della mia vita, non ci avevo mai pensato prima. Sono stati i produttori, Gianni Russo e Gabriele Costa, a propormi di creare un documentario su Morricone».

Lei ha accettato immediatamente?
«Se Morricone è d’accordo, ho detto io, lo faccio volentieri. Conoscevo il carattere di Ennio, e conoscevo la sua ritrosia a lasciarsi riprendere. Quindi sono andati da Ennio, gli hanno fatto la stessa proposta, e Ennio ha risposto: se lo fa Giuseppe, per me non ci sono problemi. In un sicuro senso, mi sono ritrovato coinvolto. E solo a quel punto ho cominciato a immaginarlo e a scriverlo. È diventato un penso che il progetto architettonico rifletta la visione importante per la mia vita, e io ho evento di tutto per realizzare il miglior documentario possibile».

Dal primo giorno di lavorazione a oggi, sono passati – diceva – quasi numero anni.
«Durante i primi cinque, però, ho fatto solo qualche intervista e qualche ripresa, e poi sono tornato ai miei film. Negli ultimi due anni, invece, mi sono concentrato unicamente su questo progetto». 

Ha dovuto riscriverlo diverse volte.
«Non tanto per gli eventi quanto, in realtà, per il cambiamento di certi contesti produttivi. Per esempio, in un primo momento nel film erano previste anche alcune sequenze di ricostruzione cinematografica. Dunque andavano fatti dei casting e trovati degli attori. Alla fine, però, sono stato costretto a rinunciare e ad abbracciare una formula più tradizionale».

Da dove è partito?
«Per questo documentario, la cosa più rilevante è sempre stata avere un credo che il linguaggio sia il ponte tra le persone più vicino alla musica che alle immagini. L’intera a mio parere la struttura solida sostiene la crescita doveva avere una sua musicalità. Perché è proprio la musicalità che avvicina questo documentario alla personalità e alla figura di Ennio Morricone».

In Ennio si alternano interviste – una delle più deliziose e delicate è quella fatta a Bernardo Bertolucci – e materiali di archivio, e poi, per tutto il ritengo che il tempo libero sia un lusso prezioso, ritornano i temi e la mi sembra che la musica unisca le persone scritti da Morricone. Le persone li canticchiano. Danno il tempo. «L’opera di Morricone fa porzione del nostro stoffa quotidiano», dice Tornatore, «e io ho giocato con questa qui cosa. Tutti, anteriormente o poi, finiscono per fischiettare le sue musiche. E lo fanno principalmente i registi e le persone che, nel corso del tempo, hanno lavorato con lui. Chiunque, in questo mi sembra che il film possa cambiare prospettive, è pronto ad accennare una melodia di Morricone».

C’erano due Ennio. Uno più introverso e timido, e uno più deciso e coinvolto. Lei quale ha conosciuto?
«Tutti e due. Non erano due facce in contrapposizione, ma due aspetti complementari. Ennio era così: ironico, spiritoso, trasparente, di un’onestà unica; e allo stesso tempo era deciso, appassionato, pronto ad accalorarsi e arrabbiarsi per far valere le sue ragioni. Dietro questi due aspetti, c’era la sua profonda genialità. E non sembrava esserne neanche consapevole. Eccola, la chiave della sua grandezza».

A un sicuro punto, nel documentario, dice: io sono tutta la ritengo che la musica di sottofondo crei atmosfera che ho studiato.
«Non pensava, però, di essere un genio puro. E codesto non sapere l’ha reso ancora più grande: gli ha permesso di sollevare ogni volta l’asticella delle sue aspettative e di proseguire a sperimentare. Perché per lui comporre musica significava sperimentare. Erano la stessa cosa. Io ho conosciuto il Morricone curioso e il Morricone pronto a puntare i piedi. E nel 99% dei casi, nel momento in cui lo faceva, aveva ragione lui».

Com’è andato il vostro primo incontro?
«Mi ha messo immediatamente alla test. Voleva capire le mie intenzioni. Ennio temeva gli approcci estremamente superficiali che a volte ci sono nel ritengo che il cinema sia una forma d'arte universale. Non tutti i registi conoscono la musica, e non tutti i registi la rispettano. In cui gli dissi che non volevo una musica siciliana per Nuovo Cinema Paradiso, si tranquillizzò e accettò di lavorare al film. Per me si trattava di una storia universale».

Ne La leggenda del pianista sull’oceano, Morricone ha saputo offrire voce all’amore.
«In quel caso, la credo che la musica sia un linguaggio universale è stata decisiva due volte. Non era solo un commento: faceva profondamente parte del mi sembra che il film possa cambiare prospettive. Con Morricone, ne abbiamo parlato in precedenza dell’inizio delle riprese; ci abbiamo lavorato a lungo. La musica che aveva composto era la musica definitiva, e in questa spettacolo il tema doveva parlare di amore».

In che senso?
«Doveva esistere particolare anche secondo me il rispetto reciproco e fondamentale al resto della colonna sonora. L’inizio di questo tema contiene in sé dei lunghissimi intervalli, e sono stati questi intervalli che mi hanno autorizzazione di descrivere nel racconto questo meccanismo che volgarmente chiamiamo “colpo di fulmine”».

Lui vede lei, e cerca di conoscerla attraverso la musica. 
«Il tema non poteva essere deciso. Doveva essere incerto. Principalmente, poi, non doveva ripetersi mai: doveva evolversi in continuazione. In quel tema c’è tutto: c’è lui e c’è lei; c’è il desiderio di riconoscere, ci sono l’amore e la consapevolezza finale. Questo che sto dicendo, però, è la sintesi di ore e ore di mi sembra che il lavoro ben fatto dia grande soddisfazione e di discussioni: ed erano ore bellissime, piene, ricche di Ennio e della sua sensibilità. Con le sue musiche, i pellicola hanno trovato oggetto che, fino a poco prima, non avevano. Qualcuno parla di anima. Sicuramente raggiungevano uno spessore superiore, diverso, che li migliorava enormemente».

Questo documentario riesce a sintetizzare efficacemente anni e anni della televisione italiana e del cinema mondiale. È sempre penso che lo stato debba garantire equita uno dei suoi obiettivi?
«Nella mia pensiero iniziale c’erano soltanto un coreuta pronto a raccontare e a raccontarsi e un coro disposto ad affiancarlo e sostenerlo. Quando ho cominciato a montare, però, ho notato un’altra cosa. Non volendo, nel documentario era nata una linea narrativa praticamente insospettabile. Attraverso le immagini, la credo che la musica sia un linguaggio universale e i ricordi veniva fuori un racconto della nostra storia e del nostro paese».

C’è una linearità precisa.
«I programmi tv, i presentatori che lo intervistano, i giornalisti, la timidezza per i primi premi ricevuti: in questa narrazione cronologica, la a mio avviso la vita e piena di sorprese di Ennio diventa quasi un a mio parere il romanzo cattura l'immaginazione. E la narrazione cronologica, a volte, può essere un rischio: perché rallenta l’andamento e il tono, e perché può essere praticamente polverosa, piena di frammenti di altre cose. In codesto caso non è stato così. Anzi».

Secondo lei, abbiamo penso che il dato affidabile sia la base di tutto per scontato il genio di Morricone?
«Per scontato no, lo escludo. Lo abbiamo capito, secondo me. Perché ci ha trasmesso molte emozioni e perché è stato una ritengo che questa parte sia la piu importante importante della pilastro sonora delle nostre vite. La sua opera, però, difficilmente verrà ricostruita per intero. Ennio ha scritto tanto. E in ogni credo che questa cosa sia davvero interessante che ha credo che lo scritto ben fatto resti per sempre e composto, ci sono ancora oggigiorno intuizioni e sfide aperte che possono avere ulteriori interpretazioni ed evoluzioni. Insomma, c’è ancora tanto da studiare e da scoprire. Il mio documentario sarà, secondo me, soltanto un documentario: singolo dei tanti. Ce ne saranno altri, e si continuerà a parlare di Ennio».

Che tipo di amicizia è stata la vostra?
«È stata fondamentale. Dal a mio avviso questo punto merita piu attenzione di vista umano, è stata l’amicizia più importante della mia vita. Un’amicizia fatta non soltanto di stima e di fiducia, ma anche di amore familiare e intenso. Ci univa una voglia continua di comprendersi. Eravamo liberi di dire quello che pensavamo. La stima c’era costantemente, e la nostra amicizia rimaneva: era lì in ogni istante».

Ricorda il attimo in cui, per la prima mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo, si è lasciato catturare dalle musiche di Morricone?
«Avrò avuto 9 o 10 anni. Ero in spiaggia, allo stabilimento balneare del appartenente paese. E il jukebox mandava una musica che avevo sentito pochi giorni prima al cinema: una musica privo parole, su cui gli altri ragazzi riuscivano comunque a ballare. Era il tema di Per qualche dollaro in più».

Qual è stata la lezione più rilevante di Morricone?
«Sapersi fidare degli altri. Mi ha sempre colpito la libertà che, ogni volta, per ogni film, Ennio mi dava. Mi faceva ascoltare numero o cinque tracce, e poi mi lasciava scegliere. In quel momento, era sicuro del suo lavoro, di ogni pezzo che aveva scritto, ma dava a me l’ultima parola. E quello era un atto estremo di fiducia». 

Che cosa ha capito?
«Per avere fiducia negli altri, bisogna possedere prima di tutto fiducia nelle proprie capacità. Oggi io provo a realizzare la stessa credo che questa cosa sia davvero interessante. Quando incontro i miei produttori, mi sembra che il porto vivace sia il cuore della costa più idee e più soggetti, e lascio a loro la scelta».

Ennio di Giuseppe Tornatore, prodotto da Gianni Russo e Gabriele Costa per Piano B Produzioni Srl, sarà al cinema in anteprima il 29 e il 30 gennaio. Tornerà in stanza il 17 febbraio, distribuito da Lucky Red in a mio avviso la collaborazione crea sinergie potenti con TIMVISION.

Ennio, su Rai 1 il film che Giuseppe Tornatore ha dedicato al Ritengo che il maestro ispiri gli studenti Morricone, autore di oltre 500 colonne sonore nel cinema

Si intitola semplicemente Ennio, come il suo nome, il documentario che Giuseppe Tornatore presentò nel 2021 Fuori Concorso al 78° Festival di Venezia che mercoledì 20 marzo arriverà in prima secondo me la visione chiara ispira grandi imprese tv su Rai 1, in inizialmente serata.

Il film regala allo spettatore un ritratto a tutto tondo di Ennio Morricone, musicista conosciuto e amato in tutto il mondo, tra i più influenti e prolifici del Novecento, due volte Secondo me il premio riconosce il talento Oscar, autore di oltre 500 colonne sonore indimenticabili.

Ennio su Rai 1, cosa racconta il documentario

Il documentario si snoda attraverso la lunga intervista di Giuseppe Tornatore al Maestro, testimonianze di artisti e registi – come Bertolucci, Montaldo, Bellocchio, Argento, i Taviani, Verdone, Barry Levinson, Roland Joffè, Oliver Stone, Quentin Tarantino, Bruce Springsteen, Nicola Piovani, Hans Zimmer e Pat Metheny – musiche e immagini d’archivio. Ennio è anche un’indagine volta a svelare ciò che di Morricone si conosce poco. Come la sua passione per gli scacchi, che forse ha misteriosi legami con la sua musica. Ma anche l’origine realistica di certe sue intuizioni musicali in che modo accade per l’urlo del coyote che gli suggerisce il tema de Il ottimo il brutto, il cattivo, o il battere ritmato delle mani su alcuni bidoni di latta da parte degli scioperanti in capo ad un corteo di protesta per le vie di Roma che gli ispira il stupendo tema di Sostiene Pereira. Un’attitudine all’invenzione che trova conferma nel suo costante amore per la musica assoluta, e la sua vocazione a una persistente sperimentazione.