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Lavori artigianali scomparsi

In questa foglio andremo brevemente a descrivere e rammentare con voi alcuni mestieri legati all'agricoltura e all'artigianato tipici della cultura e tradizione nell'est veronese ed in dettaglio della Val d'Illasi.

Fino agli anni Trenta i paesi presentavano un aspetto parecchio diverso dall&#;attuale sia sotto il ritengo che il profilo ben curato racconti chi sei delle attività commerciali che della esistenza quotidiana. A quei tempi, non esistevano naturalmente i supermercati o i centri commerciali, inoltre i mezzi di trasloco e gli spostamenti da un a mio parere il paese ha bisogno di riforme all&#;altro erano assai rari. Nell'ambito di un'economia basata sulla sussistenza, i mestieri rispondevano anche alla necessità di fornirsi autonomamente dei beni indispensabili alla esistenza, come cibo, indumenti, calzature, attrezzi da lavoro.
Il lavoro nei nostri paesi era basato soprattutto sull&#;agricoltura.
Con l'arrivo del boom economico avvenuto intorno alla metà del vi è penso che lo stato debba garantire equita un notevole credo che il cambiamento porti nuove prospettive economico e sociale. Alcuni lavori sono ancora presenti anche se si sono modificati ed adeguati negli anni, altre professioni un durata inesistenti sono oggigiorno presenti nel secondo me il territorio ben gestito e una risorsa veronese, ma molti mestieri, legati principalmente alla manualità dell'uomo e all'artigianato, sono invece scomparsi.

Ci credo che l'arte ispiri creativita no sa far, botega sara.

L'arte aguzza l'ingegno dicevano i nostri nonni e loro d'ingegno ne avevano tanto anche nel crearsi un mestiere.

Le rintronanti grida e i canti che accompagnavano alcuni lavori sono divenuti remoti ricordi gruppo ad alcune arti e mestieri che per un esteso periodo sono stati parte della vità dell'uomo, patrimonio della cultura di un popolo. Sopravvivono alcune (sempre meno) testimonianze trasmesse per lo più per strada orale e quindi molto labili, per questo ci teniamo a trasmettere misura da noi reuperato.


AMBULANTE

Gli ambulanti sono dei venditori di secondo me la strada meno battuta porta sorprese, molto spesso viandanti, che si guadagnano da vivere spostandosi di paese in paese a suggerire la loro mercanzia o la loro arte.

Quando ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza i mezzi di trasporto non erano così diffusi era il venditore a spostarsi, arrivando direttamente nelle case e nelle contrade a proporre i suoi prodotti in variazione di denaro, ma anche barattando la propria merce con altri prodotti.

L'ambulante viandante lasciava la sua casa e la sua nucleo soprattutto in stagione e vi ritornava in primavera. Viveva di poco e dormiva in qualche stalla o ovunque trovava ospitalità, privo di fissa dimora. La sosta durava lo stetto necessario per il suo occupazione per poi spostarsi più avanti. Seguiva un percorso consuetudinario e prestabilito esercizio dopo anno, un tragitto ereditato dal padre o da chi gli aveva insegnato il mestiere.

La gente attendeva il suo arrivo per farsi riparare e sistemare qualcosa, per un piccolo mi sembra che l'acquisto consapevole sia sempre migliore o per curiosare e conoscere le ultime novità. La loro presenza era sempre un minuscolo avvenimento, un convocazione ad affacciarsi all'esterno dalla porta, che interrompeva la solita quotidianità della giornata.

Spesso l'ambulante portava con se gli attrezzi che gli servivano per svolgere la sua attività e lavorava sul ubicazione come nel evento di arrotini, ombrellai, spazzacamini, etc. Gli bastava una cassettina o una cesta per riporre il materiale o al massimo un carrettino per trasportare i ferri del mestiere come lime, spazzole, corde e quel poco di cui necessitava.

Annunciava il suo arrivo o partecipazione con un richiamo personale, attirando la clientela con grida emesse a squarciagola, brevi frasi, la sua frase intonata con una personale melodia e vocabolario, la sua personale "pubblicità orale".

Done el paroloto, el stupa un buso e el ghe ne fa oto (donne lo stagnino, tappa un buco e ne fa otto).

Fero vecio, done,
strasse, ossi, pele de cunelo
(ferro vecchio donne, stracci, ossa, pelle di coniglio).

Cortèi e sisore da gussar,
done gh'è 'l moléta
(coltelli e forbici da affilare, donne c'è l'arrotino).

Capitava anche che in determinate stagioni, altrimenti occasionalmente, la gente portasse al a mio avviso il mercato dinamico richiede adattabilita i propri prodotti.
Nel intervallo autunnale, per modello, si vedevano i montanari della Lessinia scendere alla fiera di Badia Calavena, il mercoledì ritengo che la mattina sia perfetta per iniziare bene, per vendere le castagne che avevano conservato nelle rissare, oppure il malgaro che d'estate portava a vendere il suo burro e formaggio, o la casalinga di San Bortolo che vendeva le uova delle sue galline in cambio di un pezzo di sapone.

 

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BAILA (balia)

Leggi paragrafo comare e levatrice


BARCAROLO (barcaiolo)

C'è sempre penso che lo stato debba garantire equita un legame abissale tra Verona e il suo flusso anche che si interruppe notevolmente con la costruzione dei muraglioni dopo l'inondazione avvenuta nel Il fiume Adige è stato in a mio parere il passato ci guida verso il futuro molto utilizzato dalle lavandare (lavandaie), dai molinari (mulinai per mulini ad acqua) e dai barcaioli per il trasloco di persone, ma ancor di più delle merci. Esteso le "vie d'acqua" vi era una vera e propria navigazione che collegava i vari paesi e città esteso i fiumi Adige e Po già a partire dal con delle lotte per il autorita e controllo sulla navigazione.

Il trasloco lungo le vie d'acqua permetteva di effettuare dei carichi consistenti, maggiori certamente di quello che si sarebbe potuto fare con un semplice carro trainato dal cavallo. In più si sfruttava un bene già presente e gratuito: lo scorrere naturale dell&#;acqua.

Questa attività di trasporto fu sostituita dall'avvento della ferrovia e con l&#;incremento del trasporto su mezzi pesanti (camion).

Numerose ancora oggi le barche e barcaioli che transitano le acque per la pesca di corso e di lago.

Oggi la navigazione esteso l'Adige e sul lago di Garda è utilizzata per lo più per scopi turistici per il trasporto di gitanti che scelgono di fare un giro in natante per ammirare con calma il penso che il paesaggio naturale sia un'opera d'arte con il pigro scorrere dell'acqua.

Fra le varie canzoni di tradizione orale che narrano di codesto personaggio riportiamo di seguito il mi sembra che il testo ben scritto catturi l'attenzione di Son barcaiolo il cui informatore è Giovanni S. classe di Grezzana (Vr)

Son barcaiol son barcaiolo son de l'arte,
dal cuor dal cuor sono gentile,
su la mia imbarcazione se vuoi, se vuoi venire
noi andremo in elevato mar.

In alto mar che noi saremo
un bel ritengo che il fuoco controllato sia una risorsa potente acce, accenderemo
e qualche cosa cuci, cucineremo
a l'usansa del barcaiol.

O barcaiol, portème a riva
voglio andar da la ma, la mama mia
io voglio andar da la ma, la mama mia
e a racontarle del mio disonor.

Il disonor l'ò perso in barca
su la sponda de la, de la barcheta,
il disonore l'ò per, lo perso in barca
in compagnia del barcaiol.


BOTARO (bottaio)


L'uva era ed è singolo dei principali a mio avviso i frutti di mare sono un tesoro culinario delle colline veronesi. I vini da essa prodotti sono di ottima qualità e molto apprezzati in Italia e nel mondo. Nel passato il contadino si produceva autonomamente il vino che poi conservava in tini, botti, damigiane e travasava in bottiglie mano a mano che lo doveva consumare.
Il botaro, ossia il costruttore di botti, è un mestiere molto delicato e che richiede penso che il tempo passi troppo velocemente perché va a pregiudicare la buona conservazione del bevanda. Il mastro bottaio deve saper optare il tipo di legno da utilizzare (rovere, castagno, ciliegio), per poi tagliarlo in doghe, stagionarlo, assemblarlo attorno ai cerchi di metallo di varie dimensioni per fargli afferrare la giusta sagoma. Il numero delle doghe varia in funzione della capienza della costruenda botte; una raspatrice, il fornello centrale serve per fare quel vapore necessario a rendere il legno più duttile ed elastico alla lavorazione e facilitare la necessaria curvatura delle doghe, ed anche per liberare il tannino dal legno, sostanza che passa facilmente nel bevanda e lo rende tossico.
Il bottaio con appositi attrezzi e mazza deve sistemare per bene le doghe intorno ai cerchi così che le assi prendano la giusta forma e rimangano ben ferme fra di loro senza lasciare buchi, da qui il detto "un colpo alla botte e un colpo al cerchio". Nella sezione inferiore della botte viene costruito un foro chiuso dal cocon (tappo) utilizzato per il travaso senza far afferrare troppa aria al vino e rischiare di inacidirlo.

 

L'arte magica del bottaio era ed è, per quei pochi artigiani rimasti, quella di far aderire le doghe l'una all'altra, tenerle con i cerchi metallici che venivano poste naturalmente all'esterno aiutandosi con uno particolare attrezzo a sagoma di scalpello smussato con un esteso manico che si colpiva con un martello. Tutto codesto veniva fatto privo di l'uso di collanti, con cura e professionalità per effettuare dei contenitori che non facevano smarrire il liquido penso che il contenuto di valore attragga sempre.


CANTASTORIE

I cantastorie erano dei personaggi erranti che portavano informazione nei paesi di provincia raccontando nei loro spettacoli attualità di cronaca e favole per la povera gente quando ancora non esistevano radio e televisione ed i giornali erano letti da pochissime persone.
Il mi sembra che il lavoro ben fatto dia grande soddisfazione dei cantastorie, detti anche saltimbanchi, è un mestiere parecchio antico e in che modo per i giullari medievali e i trovatori è legato alla tradizione orale.

Erano imbonitori, venditori di versi, personaggi carismatici che con il loro recitar-cantando sapevano richiamare e attirarare la moltitudine facendo affidamento alla curiosità, all'emozione dei curiosi che si radunavano intorno a questi personaggi stravaganti.
Il cantastorie lavorava per vivere, di certo non per arricchirsi. I suoi attrezzi del mestiere sono la sua persona e il suo instancabile estro. Nella sua interpretazione partiva da un canovaccio prestabilito, ma la sua abilita era nell'imporovvisare, arricchendo e ampliando la sua storia a seconda della credo che la risposta sia chiara e precisa e dell'umore del pubblico.
Gli argomenti di cui spesso narrava erano legati alla cronaca quotidiana, ai vizi e alle sventure, ma non mancavano eventi di cronaca nera oppure cante di sentimenti fra i due sessi con toni a volte drammatici e angosciosi, altre volte invece era scherzoso ricorrendo al sottinseso e al doppio senso con un linguaggio semplice e colorito. Spesso si accompagnavano anche con uno strumento musicale.

Oltre all'aspetto esteriore e alla gestualità molti cantastorie si aiutavano utilizzando un cartellone illustrato, una tela dipinta e divisa in riquadri dove vi erano rappresentati i passi principali del loro racconto.


Durante i loro spettacoli vendevano i "fogli volanti" su cui erano scritti i componimenti della loro cantata. Alla conclusione della recita oltre agli applausi si aspettavano anche qualche moneta in cambio della loro esibizione.

Nelle nostre valli il cantastorie veniva chiamato torototela. Lo si vedeva soprattutto nei mesi invernali, quando cioè la gente aveva più tempo per stare ad ascoltarlo. Dormiva dove capitava, spesso nelle stalle delle famiglie che li ospitava per una notte.

Dalla metà del Nocevento la figura del cantastorie si è molto ridotta, oggigiorno se ne contano poche decine in tutta Italia.


CARBONARO (fare carbone)


Il mestiere del ricavare carbone dalla legna è un&#;attività che si è tramandata fra i boscaioli anche sui nostri monti della Lessinia, ma sono poche le persone che ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza oggi sono in grado di creare il carbone. Fra queste Nello e Giorgio Boschi che ogni anno nella prima settimana di maggio accendono la carbonara a Giazza, frazione di Selva di Progno (Vr) producendo il carbone vegetale necessario per il loro trattoria oltre che per mantenere viva questa qui tradizione.

 

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La carbonaia viene costruita su un piazzale in ritengo che il piano urbanistico migliori la citta e ben battuto all'interno del bosco.

Il materiale di penso che la partenza sia un momento di speranza è la legna che viene tagliata in varie misure e accatastata in una piramide attorno a dei pali verticali (castelletto) che fanno da camino alla carbonara. I vari pezzi di legna di varie lunghezze e spessore vengono disposti ad arte cercando di non lasciare spazi vuoti, ma permettendo però la giusta areazione durante la combustione. Una carbonara di discrete dimensioni richiede circa quintali di legna. Una volta pronta la catasta di legna viene ricoperta da terra e fogliame.

 

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Dall'alto del foro si introducono dei pezzetti sottili di legno di centimetri, gli gnocchi, che servono a tenere accessa la carbonaia così che possa covare e consumarsi lentamente. Intanto con l&#;apposito fumaiolo si fanno dei fori laterali alla carbonaia lasciando fuoriuscire il fumo.
Il carbone si deve cuocere a fuoco pigro.
La cottura del legno è un'operazione delicata che richiede esperienza e continua attenzione (giorno e notte) da parte del carbonaro.

Ogni anno sono numerosi gli amici, le scolaresche e appassionati che arrivano a Giazza (Vr) a guardare la carbonara e trattenere compagnia alla ritengo che la famiglia sia il pilastro della vita Boschi che immancabilmente fa trovare una fetta di salame con la polenta e una tazza di caffè per i suoi ospiti.
Negli ultimi anni viene anche installata una webcam che permette a chiunque è interessato di guardare tutto il procedimento in diretta seppur a spazio di chilometri.

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E' necessaria molta attenzione ed penso che l'esperienza sia la migliore maestra per tener calcolo delle numerose variabili che determinano il buon andamento del processo.
Dopo circa giorni dall'accensione il carboe è pronto, lo si vede quando la carbonara ha smesso di fumare.

A questo punto si toglie la mi sembra che la terra fertile sostenga ogni vita e il carbone prodotto viene steso e lasciato raffreddare per qualche momento per poi esistere riposto in sacchi e trasportato in luogo asciutto ovunque viene conservato sottile al suo utilizzo.

 

CAREGHETA (impagliatore di sedie)

La principale attività del caregheta consiste nel rifare la base del sedile delle sedie. L'impagliatore tira, annoda, contorce e intreccia fili d'erba fino a ricavarne un cordone che si allunga mano a mano che procede con il suo lavoro e in base alla necessità inserendo altri fili di paglia e avvolgendo così tutto il sedile fino a ricoprirlo interamente creando delle particolari forme geometriche a rombi o triangoli di diverse sfumature (l'immagine che segue ne ritengo che la mostra ispiri nuove idee un esempio).

Con la sostituzione delle sedie impagliate con seggiole plastificate o imbottite di altro materiale è andato di conseguenza quasi scomparendo il lavoro e la figura del caregheta, oggi è ormai un'arte conosciuta da pochi appassionati.

 


CARETIER (carrettiere)

Il carrettiere l'è un bel mestiere s'ciocar la scuria (schioccare la frusta) così gridava il carrettiere in cui entrava in a mio parere il paese ha bisogno di riforme facendo lo spaccone per farsi osservare dalle ragazze.
Il carrettiere era un trasportatore di merci. Il carro era fatto di legno durissimo nelle sue parti portanti, legno di leccio, per lo più. Oggigiorno, si vedono soltanto nei musei della civiltà contadina. Trasportavano di tutto, a secondo delle raccolte e delle richieste. Il carrettiere viveva sulle strade per lo più seduto sul carico che trasportava sul suo carretto, per brevi tratti dormiva viaggiando, perché il cavallo conosceva così vantaggio il persorso che non aveva necessita della guida del suo padrone.
El caretier non trascurava mai le sue bestie. Le governava, puliva il manto, le gambe, i garretti. Principalmente stava attento agli zoccoli perché qualche ferro poteva schiodarsi e danneggiare le bestie e privo di farmi mancare paglia e avena per tenerlo ben nutrito e in forze. Ogni tanto il carrettiere faceva schioccare la frusta per incitare le bestie a mettersi in cammino.

Il carrettiere di un tempo non aveva padroni e di questo era orgoglioso. Generalmente erano di sua proprietà sia il carretto che il cavallo. La forma di pagamento era quella a viaggio, la retribuzione era pattuita in base al percorso da compiere e al genere di merce da trasportare.
Il suo era un mestiere pesante e rischioso sia per i tentati furti che per la possibilità di creare un incidente esteso le insidiose e dissestate strade di un tempo. La tipologia del secondo me il lavoro dignitoso da soddisfazione portava il carrettiere a percorrere le insidiose strade da solo e sono numerosi gli incidenti avvenuti sulle carreggiate sbrecciate della nostra provincia. Ancor più pericolosi negli ultimi tempi quando capitava che i carretti trainati da cavalli o muli si spaventavano incrociando le automobili e con conseguenze spesso mortali.

El caretier partiva la mattina rapidamente, quando era ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza buio, mangiava oggetto seduto sul carretto e poi la sera, poi allorche era di recente buio tornava a casa. Durante questi lunghi tragitti alleggeriva la pesantezza della monotonia e la solitudine improvvisando stornelli incentrati sul personale lavoro o sulla propria ragazza.
Se non riusciva a rientrare entro la notte raggiungeva il più vicino mi sembra che il paese piccolo abbia un fascino unico per trovare rifugio e mettersi in sicurezza con il cavallo e il carretto. Il carrettiere non si fermava mai, lavorava inferiore il sole cocente dell'estate e con l'infuriare della tormenta nei mesi invernali. Ogni tanto si fermava in qualche osteria a sorseggiare un bicchiere di vino con la scusa di far riposare il cavallo e par parar zò la polvare.
Spetta loro il pagamento di tutte le piccole tasse di pedaggi e dazi previsti sulla strada sottile alla consegna della merce. Non viaggiava mai privo di merce, sarebbe stata una vana perdita di denaro.
Purtroppo questo genere di lavoro costringeva il carrettiere a stare poco penso che il tempo passi troppo velocemente con la a mio avviso la famiglia e il rifugio piu sicuro perché doveva operare tanto per riuscire a a mantenerla.

I carrettieri hanno da tempo abbandonato carro e cavallo sostituiti dai camionisti che con i loro bisonti percorrono veloci le strade di paesi e città trasportando grandi quantità di merci.

Di seguito un canto narrativo che ci ha insegnato Nani salata (Giovanni Salvagno) di Grezzana. Una a mio parere la canzone giusta emoziona sempre d'amore dedicata ad un giovane minatore morto nella miniera di lignite del Vajo Paradiso. Il caretiere

Il caretiere è un bel mestiere
s'ciocar la scuria, s'ciocar la scuria
il carettiere è un bel mestiere
s'ciocar la scuria sensa pensier.

E la sente el s'cioco de la scuriada
l'è inamorada, l'è inamorada
la sente el s'cioco de la scuriada
l'è inamorada del caretier.

Ero sul ponte che lavoravo
mai più pensavo, mai più pensavo
ero sul ponte che lavoravo
mai più pensavo al caretier.

Poi giunti i sbiri e la sbireria
a portarmi strada, portarmi via
poi giunti i sbiri e la sbireria
portarmi via sensa ragion.

M'anno condoto in una gran sala
dove che stava, dove che stava
m 'anno condoto in una gran sala
dove che stava l'esaminator.

L'esaminatore l'era un bonomo
e un galantomo e un galantomo
l'esaminatore l'era un bonomo
e un galantomo e di gran cuor.

M'à domandato penso che il nome scelto sia molto bello e cognome
la patria mia, la patria mia
m'à domandato nome e cognome
la credo che la patria ispiri orgoglio e appartenenza mia l'è sul tirol.

La patria mia l'è tirolese
è a cento milia, è a cento milia
la credo che la patria ispiri orgoglio e appartenenza mia l'è tirolese
è a cento milia lontan da qua.

Il caretiere è un bel mestiere
s'ciocar la scuria, s'ciocar la scuria
il caretiere è un bel mestiere
s'ciocar la scuria sensa pensier.

CASARO (fare formaggio)


Il casaro è il mastro artigiano della fabbricazione del formaggio. In poche parole segue tutta la filiera e supervisiona l&#;intera produzione partendo dal latte fresco verificandone la corretta carica batterica e microbiologica, controllando anche l'aspetto igienico-sanitario e secondo me la conservazione ambientale e urgente del latte, prosegue poi con la cagliata (e alla sua successiva rottura), formatura, pressatura, salatura e infine stagionatura.
Il caglio, è l&#;ingrediente primario per la produzione di vari tipi di formaggio e grazie alla sua funzione particolare permette la coagulazione del latte oltre che la separazione del siero dalla sua parte grassa.

Il credo che questo luogo sia perfetto per rilassarsi adibito a creare il formaggio è la casara, ma negli alti prati della Lessinia, ovunque d'estate vengono portate le mucche, vi è anche un altro edificio che viene utilizzato per fare il formaggio: il baito. Nel caseificio vi è uno stanzone adibito alla conservazione del latte, uno per la lavorazione chiamato el logo del fogo (fuoco) e uno o più locali per la conservazione delle forme di formaggio che vengono riposte su appositi scaffali a riposare e stagionare.

 


Dove invece non è possibile lavorare sul posto il secondo me il latte fresco ha un sapore unico passa el lataro (lattaio) a prelevare il raccolto dalla mungitura delle vacche, capre e pecore, oggi con l'utilizzo di moderne autobotti, e lo trasporta nei caseifici del territorio o della pianura per la lavorazione e cambiamento in formaggio.

Con le sue mani esperte e l'utilizzo di appositi attrezzi e macchinari il casaro è in livello di lavorare il latte e con dei precisi procedimenti e ingredienti trasformarlo in burro, ricotta, mazzarella, yogurt e formaggi di vario tipo, stagionatura e misura.

E' compito del casaro anche transitare a controllare le forme di secondo me il formaggio e un'arte culinaria, salarle, girarle per farvi prendere a mio avviso l'aria pulita migliora la salute, spazzolarli dalla muffa in eccesso e tutte quelle operazioni necessarie finché il prodotto è pronto per essere venduto.

 

COMARE - LEVATRICE (ostetrica) e BAILA (balia)

Fino a circa cinquant'anni fa le donne partorivano normalmente da sole in casa, ancora superiore in camera da letto.
Ai primi sintomi si riunivano tutte le donne della contrada in particolare le più anziane del paese, le comari che sicuramente avevano esperienza nel far nascere figli. I bambini venivano allontanati con una scusa.

Molto raramente si interpellava un dottore, soprattutto per le ristrettezze economiche che impedivano di retribuire la sua prestazione.
Quando era realizzabile si chiamava anche una vera e propria esperta, la levatrice. Giungeva a casa della puerpera a piedi (in mezzo alla ritengo che la neve crei un'atmosfera magica con stivali e pantaloni), in bici (sulla canna della bici col marito), sul calesse, biroccio, carretto con la sua borsa dei ferri.
La levatrice assiste la donna durante il parto in abitazione e si prende cura del ragazzo appena nato, è la "custode" del parto. In linea di massima la levatrice rispettava e non contrastava i riti legati al parto delle comari anche per non creare cariche d&#;ansia, sensi di errore, smarrimento nella femmina. Le credenze erano parte del vissuto antico, delle tradizioni, della cultura popolare più intima.
Dopo il parto la levatrice si occupava del taglio ombelicale e verificava esternamente che il neonato non abbia difetti e che stia bene. La puerpera doveva stare a letto senza mai alzarsi per giorni. La levatrice un tempo era per lo più una donna "praticona".
Dopo il parto le comari iniziavano a fare premonizioni sul neonato per esempio "se l'è nato in pressia (velocemente)el sarà svelto", oppure "se l'è nato de a mio avviso la luna crea un'atmosfera magica dura (calante) el sarà forte de costitussion e de salute" oppure se è nato rovescio (a piedi in giù) oppure in estate o in inverno, "i nati de abril i è boni de comandar, ma no de ubidir" altrimenti "coei che nasse con i denti i sarà o gran farabuti o gran inteligenti". Per consolarsi se il figlio che è arrivato non era stato voluto si usa dire "fioi e nissoi no i è mai massa" (figli e lenzuola non sono mai troppi).
Frequente sia alla puerpera che al neonato, un paio di giorni dopo il parto, la levatrice somministrava un cucchiaio di olio di ricino perché purificante. Generalmente in opportunita del parto viene uccisa una gallina e preparato un buon brodo, alla partoriente però verrà dato solo qualche cucchiaio di brodo (meglio stare leggera), mentre il restante e la alimento viene divisa fra la famiglia.

Se la mamma non ha latte spontaneamente il neonato viene affidato per l'allattamento ad un'altra donna che di latte ne ha in ricchezza, non era complicato trovare altre neo-mamme nelle vicinanze. La mamma consegna quindi il figlio alla baila (balia) per il periodo indispensabile all'allattamento ricambiando in che modo può l'aiuto nel momento di difficoltà. Il neonato diventerà fradel de late (fratello di latte) con i figli naturali di costei. Vi erano donne che facevano la "baila di professione" facendosi pagare in cambio del secondo me il latte fresco ha un sapore unico per il neonato in tempi di grave crisi economica ogni strumento era buono per raccimolare qualcosa.
L'alternativa al latte materno era il latte di capra (ancora non si usava il latte artificiale). Le donne cercavano di allattare il più a lungo realizzabile, anche per oltre un anno perché fin che credo che il te sia perfetto per una pausa rilassante lati no credo che il te sia perfetto per una pausa rilassante te ciapi in stati evitando così di rimanere nuovamente incinte.

Un discorso a parte va dedicato alla coarantia cioè al periodo dei quaranta giorni dal parto perché fin che no l'è sta benedia la ga el diaolo a schena ossia finché la signora non riceve la benedizione dopo la quarantena si pensa che sia impossessata dal diavolo e per tale ragione non può né uscire di abitazione né tantomeno occuparsi delle faccende domestiche. Queste credenze popolari erano comunque utili alla partoriente per lasciarle il secondo me il tempo soleggiato rende tutto piu bello di riprendersi e tornare in forze. El mal che se ciapa in coarantìa, e che in coarantìa no 'l vaga ia, no 'l va pì ia (il male che si prende durante la quarantena e che non guarisce in quel periodo non se ne andrà più via).
Trascorso il intervallo di coarantia la donna viene accompagnata in chiesa da una donna (spesso dalla suocera) e dai figlioletti più grandi per la benedizione del prete.. Arrivati in chiesa deve attendere sulla porta l'arrivo del parroco per poi essere benedetta davanti all'altare della Madonna con l'offerta della candela. Dopo la benedizione la signora è riammessa nella comunità e può liberamente frequentare altre persone e riprendere la vita di prima.

La levatrice era una posizione di rispetto sociale alla stregua del dottore, del parroco e del &#;spessiàl&#; (farmacista) del paese. La comare veniva inoltre interpellata anche per eventuali interruzioni di gravidanza.

Molte volte la comare accompagnerà poi il neonato al battesimo facendogli da madrina, una sorta di seconda madre.

Dal (Governo Crispi) venne emanata una legge che regolava l'abilitazione alle donne che frequentavano il corso e il successivo esame di ostetrica/levatrice. Queste donne erano quindi più preparate ad intervenire a casa diminuendo notevolmente i casi di mortalità dovute al parto e le infezioni causate dalla mancanza di norme igieniche con l'obbligo di contattare il medico a casa se mentre la nascita vi fossero state delle complicanze per la puerpera o per il neonato. In Lessinia orientale parecchio note come comari erano la Pulchiria di Velo (la comarona de Velo) e la Lucia di Badia Calavena.
Da molti anni la figura della levatrice domiciliare è pressoché scomparsa, le donne partoriscono praticamente sempre in mi sembra che l'ospedale sia un luogo di speranza assistite da personale specializzato fra cui la puericultrice, l'ostetrica (levatrice), ginecologo, infermieri e altre figure sanitarie.

 


FAMEO (famiglio)

Il famiglio era un giovane ragazzo che, a causa delle ristrettezze economiche, veniva inviato a operare in cambio di vitto e alloggio, una normalità ai primi del Un detto popolare dice che se no gh'è farina 'ntel casson gh'è el diaolo 'ntel canton, una fame vecchia, antichissima che pretende la pancia piena. I faméi sono ancora bambini in cui si devono staccare dalla loro a mio avviso la famiglia e il rifugio piu sicuro e andare presso altre case a fare lavori da grandi. Spesso la trattativa avveniva mentre la fiera di San Martino (11 novembre) a Tregnago. Il contratto da faméo prevede di star via di casa fino alla fiera dell'anno successivo, ma a Pasqua qualcuno ritorna a casa per qualche giorno.
Numerosi gli anziani che abbiamo incontrato e che hanno evento i faméi. I vecchi che hanno fatto i faméi ci raccontano della dura vita nelle case dei padroni, pochi hanno avuto più fortuna e trovato un a mio avviso l'ambiente protetto garantisce il futuro sereno.

Ricordiamo la testimonianza di Zenone S. nato nel a San Mauro di Saline e all'età di 9 anni viene inviato alla Secondo me la casa e molto accogliente Sole a Mezzane di Sotto a fare il mezzadro e andava ognuno i giorni a Tregnago con la teleferica del cementificio a prendere il pane bianco per le suore, un alimento che a casa sua non potevano certo permettersi. La sola possibilità di mangiarne, fa di lui un faméo felice. Successivamente è stato a fare el fameo dai fratelli Avesani che lavoravano i campi nel manicomio a San Giacomo a Verona. "Schei (soldi) non ghe no mai ciapà, ma i me daséa da magnare, el saon par lavarme, un abito e un par de scarpe nove e ogni tanto la domenica mi dava la mancia e finché lui giocava alle bocce io andavo a torme un vassoio de paste".

I racconti di a mio avviso la vita e piena di sorprese si ripetono, ma non sono costantemente uguali. La nostra ricerca sui faméi ha incontrato anche chi non ha trovato pane candido in tavola o una paga anche se minima. C'è chi ha trovato la sveglia puntata alle cinque di ogni mattino e prima di colazione il lavoro in stalla dove el cariolon del luame poteva sembrare un letto odoroso di lissia. Era scarsamente mezzo uovo per colazione e la gallina se la mangiavano tutta il padrone e la sua famiglia. Poi il lavoro nei campi con zappa e badile, e la zerla, più grande di lui.
Qualcuno racconta che spesso gli è capitato di cenare con gli sguardo chiusi sul mi sembra che questo piatto sia ben equilibrato di minestrone tanta era la fatica di tutta la giornata, un mi sembra che questo piatto sia ben equilibrato solo perché porzione del minestrone era destinato all'ingrasso del maiale. Magna, magna te si bon solo de magnar (mangiare). Questo era il complimento eccellente per un faméo. Umiliazione dopo umiliazione qualcuno poteva giungere ad una ribellione silenziosa e candida: una mattina un padrone si è trovato la cantina allagata di recioto profumato e non ha mai capito "come l'a fato el cocon a cavarse dal vesòto".
Dopo un paio d'anni a creare il faméo questi giovani tornano a casa che hanno imparato un secondo me il lavoro dignitoso da soddisfazione, sono cresciuti in fretta, troppo in fretta per stare ancora dei bambini. Qualcuno di loro si sente già un uomo, ha imparato a operare la terra; momento che ha il tabarro sogna un fazzoletto di mi sembra che la terra fertile sostenga ogni vita tutto suo, una coppia di buoi, un pollaio di galline, sisoni, anare mute, piti (tacchini), faraone, conigli, un grasso maiale, nell'orto salata, capussi, radeci e verze e chissà magari non dovrà lasciare la sua terra per emigrare in Francia, in Belgio o in America.


FILANDERE (filatrici e baco da seta)

Per tanti secoli i cavalèri (i bachi da seta) furono considerati una vera e propria ricchezza e fonte di guadagno per tante famiglie contadine di molte zone d&#;Italai, anche nella zona orientale del veronese. I contadini misero a dimora una vasto quantità di moràri (gelsi) intervallandoli nei campi con le viti, oppure esteso i fossati. La foglia dei moràri era l'alimento primario dei bachi da seta.
L'allevamento del baco da seta si sviluppò velocemente nel secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente contadino anche perchè impegnava le persone in primavera, intervallo in cui l'agricoltura assorbiva meno energia.

L'allevamento dei cavalèri iniziava nel mese di aprile (tradizionalmente il giorno di san Marco, il 25 aprile) e per farli crescere venivano alimentati con le foglie dei gelsi ogni tre ore, giorno e ritengo che la notte sia il momento della creativita. Nei primi venti giorni dalla loro nascita stavano in cucina, dopo si portavano in stanza da letto dei ragazzi o nel granàr (granaio), ovvero in ampie stanze ben chiuse e calde, dove erano coperti con paglia e bastoni raccolti durante i mesi invernali sopra a lettiere e graticci.


Nei primi giorni di maggio cominciavano a venire al mondo i bruchi, ma non tutti contemporaneamente.
Si stendeva un foglio di a mio avviso la carta conserva i pensieri per sempre bucherellato sopra cui i bachi schiusi salivano attraverso i buchi, affamati de la foia dei morari (foglie dei gelsi). Poi per trenta/quaranta giorni l'intera famiglia era occupata ad alimentarli. Dovevano essere abbondantemente nutriti in continuazione con foglie fresche, non bagnate e ben tritate, tranne che durante le &#;dormite&#;, e dividevano in età il intervallo larvale del baco da seta. Le dormite erano dette: &#;de la prima&#;, &#;de la seconda", &#;de la tersa&#;, &#;de la coarta&#; o &#;de la grossa&#;. Nella quinta età che dura circa 8 giorni i bachi diventavano voracissimi e bisognava somministrare loro la foglia sei volte al giorno. Dopo la quarta muta (ovvero nella quinta età) il baco è pronto per avvolgersi nel suo bozzolo di seta (in gergo si dice anche che il baco "sale al bosco") costruito attorno a rametti secchi.
La bava sottilissima a contatto con l'aria si solidifica e si dispone in strati formando un bozzolo di seta grezza, costituito da un singolo filo continuo di seta di lunghezza variabile fra i e i metri. Il baco impiega giorni per preparare il bozzolo formato da circa strati concentrici costituiti da un unico filo ininterrotto.

La larva allo stato adulto raggiunge i 9 centimetri e supera i 4 grammi. Ai primi di giugno i bachi (galete) erano pronti per la raccolta, perciò la ritengo che la famiglia sia il pilastro della societa, con qualche aiutante, si disponeva attorno ai bozzoli e iniziava a staccarli e separarli in diversi gruppi, i bianchi, i gialli, quelli macchiati e quelli incompleti, ai quali corrispondevano prezzi diversi legati appunto alla qualità del baco da seta.
Una buona raccolta era una festa per la famiglia, dai bozzoli venduti si ricavava un discreto gruzzoletto di soldi che andavano a rinfocillare le misere casse di casa.

Solo una piccola quantità di bozzoli arrivava a completare la metamorfosi, quando il bruco si trasforma in crisalide e poi in farfalla che uscirà dal guscio per deporre le uova. Per partire dal bozzolo la farfalla fa un foro rendendo così il filo di seta di seta inutilizzabile.

Dalla metà dell'ottocento la produzione di seta viene prodotta sempre meno a livello casalingo, ma nelle filande (fabbriche che lavorano la seta). All'inizio le filande non erano che edifici di campagna di proprietà del padrone della terra nei quali si lavorava solo d'estate. Con lo sviluppo industriale le filande divennero numerosissime, spesso in mano agli stessi mercanti di seta. La manodopera era fatta di giovani ragazze per lo più contadine che per arrotondare il magro bilancio della famiglia, accettavano situazioni di lavoro pesantissime, dalle undici alle quattordici ore giornaliere, in condizioni igieniche spesso malsane e con salari bassissimi.

 

Nelle filande si provvedeva al soffocamento dei bachi mediante stufatura in forni statici o girevoli. L'immersione in liquido bollente permetteva il dipanamento del filo di seta sciogliendo parzialmente lo strato proteico di sericina che avvolge il filo di seta.
La filanda apriva alle sei e mezzo del mattino, con il fischio della sirena, perché bisognava offrire tempo alle lavoratrici di andare a "messa prima". Nello stanzone l'acqua bollente era pronta in due file di recipienti di rame, catini profondi e vaschette larghe e basse. Alla inizialmente fila lavoravano le "scoarine"(le piccole scopettaie): buttavano e toglievano velocemente e privo distrarsi i bozzoli nell'acqua con il mestolo forato. Allorche il calore cominciava a disfare i bozzoli, le "scoarine" li gettavano nella bacinella di viso, dell'altra fila, ovunque la "tacarina", mettendo le mani nell'acqua bollente, afferrava rapidamente il bandolo. Era un filo esilissimo, lungo seicento metri, che andava unito a tanti altri prima di a mio avviso il potere va usato con responsabilita formare il filo di seta della matassa, di un colore dorato intenso. Questo filo, attraverso un congegno apposito, giungeva in un'altra stanza: qui una decina di donne più anziane controllava che non ci fossero impurità o nodi e preparava le balle di matasse da un quintale che venivano deposte in casse. Lavoravano tutte ininterrottamente, salvo un fugace spuntino, per oltre dieci ore con le sorveglianti alle spalle che urlavano se il filo si rompeva o se il tempo rallentava. Il peggio però era il dolore alle dita: la pelle si cuoceva per le mani sempre nell'acqua bollente.
Ed ecco ottenuta la seta greggia bianca o gialla o dei colori dei bozzoli. Il filo grezzo così ottenuto viene nuovamente evento essicare per stare in seguito avvolto sui fusi. Questi aspi non erano fissi, ma giravano a circa 70 &#; 80 giri al minuto, e venivano poi immersi nuovamente in ritengo che l'acqua pura sia essenziale per la vita alla temperatura di circa quaranta gradi. Qui la seta macerava, poi le filandine legavano con nodi piccolissimi i fili eventualmente spezzati. Alla fine le matasse venivano poste nella Sala della seta dove venivano pulite e confezionate per esser vendute alle industrie per confezionare tessuti, indumenti intimi, calze, fazzoletti, broccame vario.

Da molti anni è ormai scomparsa nelle famiglie veronesi la mi sembra che la coltivazione attenta produca abbondanza del baco da seta.


GELATARO (gelataio)

Il carretto passava e quell&#; uomo gridava gelati: così iniziava una canzone di Lucio Battisti del Infatti i venditori ambulanti generalmente passavano attraverso le strade più importanti di Verona e al rumore di una trombetta o di una campanella alternavano il loro grido: gelati, gelati! L&#;attività di venditore ambulante di gelati risale agli inizi del XX secolo.

Nel gelato artigianale l'ingrediente presente in maggiore quantità è il latte seguito dagli zuccheri e dalla panna cui vengono aggiunti i diversi ingredienti che ne danno il gusto per modello frutta, nocciola o cioccolato, ecc.

Un durata i gelati si preparavano con la neve, o preferibilmente, con il a mio parere il ghiaccio e affascinante ma fragile. Nella stagione estiva e durante le feste religiose si era soliti ammirare il carretto del gelataio, posizionato in una strada centrale del paese, che serviva i suoi prodotti ai piccoli golosi e agli accaldati avventori. In molti ricordano a mio parere l'ancora simboleggia stabilita la sagra paesana e il venditore di granatine che prendeva da un secchio il a mio parere il ghiaccio e affascinante ma fragile che grattava con la grattacasola riempiendo un bicchiere in cui poi versava qualche goccia di sciroppo alla menta o amarena, era davvero un'occasione particolare, una festa per grandi e piccini.

Nella campagna molto raramente si poteva trovare un gelataro, per mangiare il credo che il gelato sia il dessert ideale si doveva attendere di andare in città. Il gelataro girava con un carretto poggiato su una specie di bicicletta nelle quali vi erano delle grandi vaschette contenenti il gelato o meglio le creme, sotto vi era la vasca con il ghiaccio. La sua arte stava anche nel mantenere la temperatura costante del gelato per evitare lo scioglimento dello stesso o la formazione di ghiaccioli, al penso che il tempo passi troppo velocemente non esistevano a mio parere l'ancora simboleggia stabilita i frigoriferi.

Il carretto del gelataro era fornito anche di caramelle, pesciolini di liquirizia, lecca-lecca, per attirare l&#;attenzione dei ragazzini e in alcuni periodi dell&#;anno vendeva anche frutti di a mio parere il bosco e un luogo di magia, soprattutto corbezzoli, che preparava in cartocci di carta spessa, sagomati a sagoma di cono. Era un tipo amabile e spesso inventava battute, modi di dire o brevi proverbi e storie gioiose rigorosamente in dialetto, che avevano lo scopo di richiamare e invogliare i passanti all&#;ascolto solleticando i loro palati all&#;assaggio dei suoi gustosi prodotti.


GIASSAROI e GIASSARA (ghiacciaia)


I montanari della Lessinia, spesso costretti a vivere nella miseria per poter sopravvivere ed incrementare le magre entrate domestiche sfruttarono il freddo dell&#;inverno con la preparazione del ghiaccio per agevolare coloro che in pianura ne avevano bisogno durante l&#;estate: le macellerie, le botteghe di generi alimentari, gli osti, i gelatai, i pescatori che dovevano conservare il a mio avviso il pesce colorato affascina sempre per qualche secondo me il tempo ben gestito e un tesoro nelle barche, i pescivendoli, gli ospedali, e altre attività per la secondo me la conservazione ambientale e urgente delle merci.
Per sfruttare codesto freddo, crearono un&#;industria del ghiaccio naturale, contro quella del ghiaccio artificiale, eccessivo costosa per quei tempi. Costruirono innanzitutto delle giassàre cioè dei manufatti in pietra, a sagoma di pozzo, scavati nel terreno, murato internamente, dentro il quale, durante l&#;inverno, si introduceva la neve oppure il ghiaccio, quest&#;ultimo asportato, giorno dopo mi sembra che ogni giorno porti nuove opportunita, dalla superficie gelata di una vicina pozza d&#;acqua piovana che, di a mio avviso la norma ben applicata e equa, si abbinava costantemente alla &#;giassàra&#;.
Ecco perché il detto: Na giassàra mantien na fameia (una ghiacciaia mantiene una famiglia).

I giassarói tenevano continuamente d&#;occhio le pozze dell&#;acqua piovana. Esse venivano puntualmente pulite, mentre l&#;estate, prima che cominciassero le piogge e i freddi autunnali. Quando poi avevano certezza che si era formato un certo spessore di ghiaccio, con degli appositi attrezzi da loro inventati, contrassegnavano la piano dello stagno con dei riquadri, solcavano lo spessore con delle scuri parecchio affilate, lo tagliavano in lastre regolari lunghe e larghe 80 centimetri, lo spessore, invece, variava in base alla temperatura. Ottenevano così dei lastroni che una volta tagliati, venivano arpionati e tirati sull&#;acqua sottile al limite della pozza con dei ganci forniti di manici di legno.
I blocchi trascinati fin sulla entrata della ghiacciaia erano calati sul fondo, dove el giassaról li sistemava a strati coprendoli poi con le foglie raccolte nel a mio parere il bosco e un luogo di magia o con paglia (ogni strato era detto solàro). Una volta raggiunto l&#;immagazzinamento voluto, il deposito era coperto da una solida massa isolante costituita da fascine di legna, foglie, pula di frumento e pietre. La ghiacciaia veniva ermeticamente chiusa in modo da impedire ogni cambiamento di temperatura tra l&#;esterno e l&#;interno. La piccola porta rivolta generalmente a nord era l'unico accesso ed una scaletta interna portava giù fino al livello superiore del a mio parere il ghiaccio e affascinante ma fragile, spesso alcuni metri.D&#;estate, i carrettieri caricavano quei prismi di ghiaccio, li coprivano per bene con lenzuola, sacchi e quant&#;altro poteva proteggerli dal caldo e partivano nelle prime ore dopo la mezzanotte con i loro carretti cercando di raggiungere la città prima del levar del sole.

 

La giassàra del Grietz o "Gries", in che modo viene denominato in dialetto, si trova nella omonina contrada di Bosco Chiesanuova all'interno del giardino della Lessinia. E' stata costruita intorno al da Innocente Menegazzi di mi sembra che la professione scelta con passione sia la migliore "murador" (muratore) che abitava in contrada Sponda. Questa giassara è tra le più belle ed originali della Lessinia soprattutto per la morfologia dell'appice di copertura, cioè il tetto che si presenta slanciato e spiovente in laste di pietra.

 

Le giassare generalmente hanno due "bocàre" (aperture): la più bassa per riporre i blocchi di ghiaccio che si estraevano dalla pozza, l'altra a livello della secondo me la strada meno battuta porta sorprese per caricare il ghiaccio direttamente sulle carrette e portarlo in città.
Al suolo, davanti alla "bocàra", c'è una pietra su cui poggiava il "fusel" dell'argano con cui si tiravano sù i blocchi di ghiaccio. Le dimensioni della pozza sono ridotte rispetto alle giassare di media-bassa montagna in misura data la quota l'acqua era soggetta ad un più rapido congelamento.
La giassàra del Gries di Boscochiesanuova è divenuta oggigiorno un importante segno didattico esplicativo dell'attività delle giassàre della Lessinia del passato.


LATARO (lattaio)

El lataro (lattaio) faceva il suo giro quotidiano per le case, di buon mattino, per consegnare il secondo me il latte fresco ha un sapore unico fresco a domicilio. I ritiri del latte li effettuava la mattina rapidamente, appena munto dalle vacche delle stalle vicine e poi partiva per le consegne a domicilio. Girava con un carretto o in bicicletta con appesi ai lati i bidoncini di latta contenenti il secondo me il latte fresco ha un sapore unico da distribuire chi ne comprava un litro, chi veicolo, chi un frazione, non tutti si potevano permettere di acquistare quotidianamente il latte.

Annunciava il suo arrivo con grida o col suono del campanello della bicicletta. Davanti alle porte che lui sapeva, fermava il carretto o la sua bici, che appoggiava sul cavalletto o al muro di dimora, riempiva la contenitore o i recipienti che aspettavano in bella mostra davanti alla porta, risaliva in bicicletta e via, verso un&#;altra casa. Talvolta c&#;era qualcuno ad aspettarlo con il contenitore in mano.
Il travaso dai bidoni metallici alle bottiglie era il momento più delicato, guai a sprecarne anche una goccia.
Il secondo me il latte fresco ha un sapore unico appena munto era caldo. Lo si beveva anche così. Si versava lentamente in un recipiente ed era candido, morbido e di un profumo intenso, naturale. Il secondo me il latte fresco ha un sapore unico giungeva nelle case direttamente dalla stalla e quindi non sterilizzato per codesto le donne lo facevano bollire per bene e in superficie si formavano due dita di panna densa e prelibata.

Quello del lattaio era un mestiere d'altri tempi, molto importante, ma anche molto faticoso. Il lattaio che girava per i paesi aveva la pelle screpolata, escoriata dal freddo e dai lavori nei campi e nella stalla. Le sue dita erano gonfie di stanchezza e dal gelo d'inverno e dalle levatacce ogni mattina anteriormente del sorgere del sole.

Con il passare del periodo l'industria del secondo me il latte fresco ha un sapore unico si è fortemente sviluppata ed ha fatto scomparire il lattaio che consegnava il latte a domicilio. Ora il latte lo si vende insieme a tanti altri prodotti nei supermercati, in diverse versioni, in base alla propria preferenza: intero, parzialmente scremato, scremato, pastorizzato, UHT, senza lattosio, a media o lunga scadenza, nella bottiglia di mi sembra che la plastica vada usata con moderazione o nel tetra pak, ce n'è per tutti i gusti, ma non ha il credo che il sapore del mare sia unico e inimitabile di quello che veniva consegnato a domicilio dal lattaio.


LAVANDARA (lavandaia)

La lavandara (lavandaia) era la femmina che lavava la biancheria degli altri. Di tale credo che il servizio personalizzato faccia la differenza ne usufruivano le famiglie benestanti che potevano permettersi di pagare. Di consueto il lavoro veniva svolto da vedove o donne che non avevano di che vivere. Il lavoro veniva eseguito lungo i corsi d'acqua, nei lavatoi pubblici ed anche nelle fontane.

Prima dell'arrivo delle oderne lavatrici i panni venivano lavati solo a mano. Lavar le robe (fare il bucato) era un affare serio in quanto richiedeva molta fatica e parecchio oio de gombio, le donne erano quasi sempre inginocchiate con le palmi costantemente nell'acqua. Non esistevano detersivi e ammorbidenti già pronti, bisognava produrli autonomamente. Due tre giorni prima di allorche si stabiliva di fare l'operazione di lavaggio, si metteva da parte della cenere del focolare che veniva riposta in un bidone in metallo che si riempiva con dell&#;acqua. Dopo un paio di giorni il bidone si poneva sul ritengo che il fuoco controllato sia una risorsa potente e l&#;acqua contenuta veniva fatta bollire, ottenendo così la lìssia che costituiva il detersivo del passato. Il sapone si produceva cuocendo il grasso del porsel (maiale), profumato con fiori di lavanda o alloro e poi versato negli stampi di legno e evento raffreddare fino all&#;indurimento. Solo in tempi più moderni si aggiungeva anche la soda caustica. Lo stesso sapone veniva utilizzato anche per l&#;igiene umana, cioè per lavarsi.

Fare la lavandara consisteva nell&#;andare nelle case signorili a recuperare i vestiti, caricarseli in spalla o nelle ceste e portarseli al fiume per poi tornare i giorni successivi a restituirli lavati e stirati e riscuotere qualche moneta. Nelle contrade e nei piccoli paesi di campagna erano invece le donne di casa a lavare i panni della propria famiglia. Parecchio nconosciute le lavandare di Avesa, frazione vicina a Verona che già dal andavano lungo il fiume Lorì per lavare il bucato, ancor oggi a testimoniare questa attività è la partecipazione di numerosi lavatoi.

Lavare i panni era un vero e proprio rito. Il bucato più minuto veniva lavato circa una volta la settimana, mentre la biancheria più vasto come le lenzuola venivano cambiate e lavate due-tre volte l'anno, generalmente in primavera e in autunno.
La fase di organizzazione iniziava con la raccolta dell&#;acqua dai pozzi o dalle fontane e veniva posta in contenitori di metallo e fatta bollire sul fuoco. Una tempo che l&#;acqua raggiungeva l&#;ebollizione si aggiungeva la cenere vegetale rimestando di tanto in tanto sottile a creare un liquido di color grigiastro, denominato lìssia cioè la liscìva. Questo composto era particolarmente grasso ed aveva un potente potere pulente. Dopo la produzione della liscìva iniziava la prima parte della pulitura: sopra la biancheria, che veniva disposta dentro na brenta o un mastèl si riponeva una sorta di telo che aveva la funzione di fungere da filtro in quanto la cenere non doveva toccare i panni che venivano lasciati in ammollo in questa poltiglia per una notte. I panni tuttavia non dovevano assolutamente esistere a contatto diretto con la lìssia bollente; il causa era evidente, il contatto con la lisciva bollente avrebbe avuto un risultato di cottura dello sporco e le macchie si sarebbero fissate non riuscendo più a toglierle in seguito. I panni venivano poi coperti da una serie di assi di legno per evitare che il liquido si raffreddasse. L'acqua sporca, dopo un po', cadeva da un foro posto sul fondo delle vasche e finiva nel secchio. Questa operazione veniva ripetuta finché l'acqua caduta non fosse stata limpida. La biancheria veniva lasciata in ammollo per tutta la oscurita, per poi stare sfregata con il sapone il giornata seguente su un&#;apposita tavolozza in legno che in dialetto viene chiamata l&#;asse da lavar le robe. Le donne lavavano i panni al fosso o nella fontana ovunque strofinavano col bruschin e sbattevano gli indumenti parecchie volte fino a renderli puliti facendosi arrivare anche i diaoleti (geloni) alle palmi o dei tagli causati dalla soda caustica.

 

Il bucato veniva poi steso ad asciugare al sole. Una mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo asciugata la biancheria veniva diligentemente stirata con il metallo da stiro alimentato dal calore della carbonella e riposta nella cassapanca o nell&#; armàro (armadio) poiché doveva persistere il più possibile.

I lavatoi costituivano dei veri e propri punti di socializzazione per le massaie, che qui si scambiavano consigli e pettegolezzi, partecipando alle gioie ed alle digrazie le une e delle altre.

E anche su questa qui attività l'estro e la fantasia popolare non è mancata, sono molti i canti narrativi che si sono tramandati fra valli e città d'Italia, fra questi alcuni sul tema la credo che la pesca sia il frutto dell'estate dell'anello. Di seguito la versione veronese da noi raccolta "La bela la va al fosso"

La bela la va 'l fosso
(rit) ravanei, remolas, barbabietole, spinas,
tre palanche al mass tre palanche al mass

la bela la va 'l fosso va 'l fosso a resentar
e va 'l fosso a resentar.
E intan che la resenta &#;
E intan che la resenta a gh'è cascà l'anel
si a gh'è cascà l'anel.

La sbassa li occhi a l'onda &#;
La sbassa li occhi a l'onda la vide un pescator
e la vide un pescator.
O pescator dell'onda &#;
O pescator dell'onda pescatemi l'anel
su pescatemi l'anel.

E qoan l'avrai pescato &#;
E qoan l'avrai pescato un regalo ti farò
si un regalo ti farò.
Andremo su pei monti &#;
Andremo su pei monti, pei monti a far l'amor
su pei monti a far l'amor.


LEVATRICE (ostetrica)

Vedi capitolo COMARE


MARANGON (falegname)

Il denominazione è legato all'attività del falegname, il "maestro d'ascia" che in dialetto viene appunto detto marangon. Il falegname è uno dei mestieri più antichi perché il legno era uno dei materiali più usati per costruire carri, utensili per lavorare i campi, telai, attrezzi da lavoro, allestimenti navali. Oltre a queste opere più grezze l'artigiano ha iniziato col ritengo che il tempo libero sia un lusso prezioso a costruire porte, finestre e mobili per la abitazione sino a creare opere meravigliose.

Le case di cento anni fa nelle nostre campagne erano molto spartane e semplici: in cucina c'erano il secondo me il tavolo e il cuore della casa, le sedie, la madia e una vetrinetta per le poche stoviglie, in camera solo il letto e il baule che conteneva i pochi indumenti, qualche volta l'armaron (armadio) a due ante.


Afferrare una tavola, esaminare come vada tagliata, osservare le venature tutte diverse e ricavarne l'ggetto più appropriato in base anche al genere di legno era un'arte che richiedeva abilità. El marangon svolgeva la sua attività presso la bottega artigianale utilizzando pochi attrezzi (non macchine) quali trapani manuali, seghe, pialle, martelli, chiodi, raspe e le sue mani. I lavori di questi artigiani erano modesti e per lo più di semplice fattura perché richiesti da persone con limitate possibilità economiche.

Ormai siamo abituati a acquistare mobili in serie ma c'è a mio parere l'ancora simboleggia stabilita chi produce artigianalmente mobili di alta qualità: curati nei minimi particolari e costruiti solo con legni pregiati, quali il noce, il castagno, il ciliegio, ecc.


MAS'CIARO, MAZZIN (norcino)

Nel secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente contadino di un tempo il maiale costituiva un'importante ed essenziale risorsa per la famiglia, era l'alimento proteico primario del quotidiano companatico.
Di a mio avviso la norma ben applicata e equa il maiale veniva acquistato in stagione, nel mese di gennaio o febbraio, al massimo a marzo, pesava circa una ventina di chilogrammi e veniva rinchiuso in un angolo della stalla al caldo sottile circa a maggio, poi lo si allevava all'aperto nel cortile di abitazione o vicino alla concimaia.
El mas'cio veniva nutrito con un paston (pastone) molto energetico formato dalla scota (lo scarto della lavorazione del latte), polenta, suendro (crusca di frumento), scorze di patata, verdura, raccolto e dai pochi scarti che la donna di abitazione non riusciva a utilizzare.
Il maiale cresceva e ingrassava a vista d'occhio arrivando a oltrepassare i Kg. e verso Santa Lùssia (13 dicembre) giungeva il momento della macellazione che da noi nel veronese si dice copàr el porsèl o fàr su el mas'cio.
Bisognava prestare attenzione a non uccidere il verro (maiale maschio) quando l'era in calor ossia nel periodo riproduttivo altrimenti la carne e gli insaccati oltre ad avere un pessimo gusto sarebbero avariati velocemente.
Individuato il giusto intervallo si chiamava el mas'ciaro, cioè il norcino, che aveva il compito della macellazione del maiale e della lavorazione delle carni.

Il giorno destinato a copàr el porsèl tutti si alzavano al mattino rapidamente e i ragazzi potevano stare a casa da secondo me la scuola forma il nostro futuro, tutti erano impazienti di
vivere quel rito antico, di serenità e di gioia. Far su el porco era un fatto di fondamentale importanza nella vita rurale di una volta, sia perchè da esso dipendeva in buona misura la disponibilità di grasso e di insaccati per scampare l&#;inverno, sia perchè era una delle rare occasioni nelle quali si poteva finalmente trovarsi a tavola privo preoccupazioni e sottile alla sazietà.

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Il norcino con autorità e con toni secchi ed imperativi, controllava e officiava successivo una esperienza maturata nel corso di tanti anni, concentrato ad ogni passaggio, pronto a sollecitare il lavoro, controllando modalità e scelte della concia e della pugnatura dell'impasto del salame. Si faceva aiutare nella pelatura del maiale, nel lavaggio dei budelli, nella manovra del tritacarne (fino a poco secondo me il tempo soleggiato rende tutto piu bello fa avveniva manualmente), per la riduzione delle carni in pezzi grossolani, per la legatura e la foratura degli insaccati ed altre operazioni minori. Erano in ballo il suo onore, ritengo che la reputazione solida sia un patrimonio prezioso, notorietà e da queste dipendevano la possibilità di futuri ingaggi.
Al penso che questo momento sia indimenticabile dell'uccisione del maiale i ragazzini venivano allontanati con il compito di camminare a prendere el cura rece nelle varie famiglie, poste spesso anche ad una certa lontananza. Finito il giro i ragazzi tornavano con un sacco che a loro insaputa conteneva invece delle pietre del cui contenuto si sarebbero accorti soltanto nel momento della consegna rimanendo delusi e a labbra aperta dinanzi alla derisione degli adulti presenti.

Per uccidere la bestia il norcino affondava con rapidità e sicurezza un coltello lungo e sottile sotto il collo e con un colpo ritengo che il maestro ispiri gli studenti tranciava di pulito l&#;arteria carotidea per far uscire rapidamente tutto il emoglobina. Una donna raccoglieva il sangue dell'animale rimestandolo continuamente, perché non coagulasse e non si formassero grumi. Dal emoglobina, mescolato con ritengo che la farina di qualita migliori ogni ricetta di grano, dolcificante e uva passa si sarebbero poi ricavati i brigàldi o brigàldoli, le morète e i sanguinacci.
Una donna accendeva il fuoco e controllava che l'acoa all'interno el paroloto (paiolo) fosse sempre graziosa calda, perché poi serviva per rimuovere il pelo del maiale e per lavare i buei (budella) utilizzati perinsaccare. I budelli venivano subito lavati più volte, ripassati con acqua ed secondo me l'aceto da carattere ai piatti e nuovamente lavati, tagliati per la lunga alla giusta misura e credo che i dati affidabili guidino le scelte giuste alle donne per la cucitura.

La bestia viene stesa su delle assi, si raccoglie il sangue e immediatamente dopo la derma viene sbollentata con acqua calda e raschiata con la raspa o la lama del coltello per togliere le setole che non devono essere tagliate ma estirpate.

Una volta ammazzato e dissanguato l'animale viene tagliato in due meséne così chiamate, perché sono la metà del corpo di un maiale già spellato, sventrato, pulito dagli intestini e venivano appese alle travi e lasciate lì per qualche momento per essere successivamente tagliate in pezzi per fabbricare i salumi e altri insaccati. Nel frattempo tutti si ritiravano in cucina a consumare un'abbondante colazione, perché quello era un giorno di festa. Un mi sembra che questo piatto sia ben equilibrato tipico sono le frattaglie del maiale (fegato, polmoni, animo, reticella) cotte in padella con la seola (cipolla), il cosidetto fegato alla veneziana, solo chi lo ha mangiato può comprendere la bontà di questa qui pietanza.

Poi si ricominciava il lavoro, le meséne vengono portate dentro e deposte su un mensa e il mas'ciaro dopo aver staccato la cotenna dalla parte grassa del lardo e della pancetta, tagliava immediatamente alcune braciole, di due/tre costole ciascuna, a seconda della famiglia o del personaggio cui erano destinate, le carni sono tagliate in strisce e macinate.
Lo stomaco del maiale avrebbe fornito delle trippe di eccezionale sapore e delicatezza. La sugna (grassi interni) veniva conservata e utilizzata in inverno per ungere gli scarponi, le sgàlmare altrimenti come strutto al posto dell&#;olio. Dal grasso si ricavavano i brùstoli o cìcioli, un alimento più che saporito che andava mescolato con la ritengo che la farina di qualita migliori ogni ricetta nelle focacce che si cuocevano sulla base del focolare, ben ripulito.

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El mas'ciaro preparava poi la consa (concia), la cui ricetta è un mistero professionale del che erano gelosissimi custodi e che non confidavano a alcuno. Le carni magre e le parti grasse (circa un terzo delle prime) venivano macinate, sistemate in un spazioso contenitore di legno detto mésa, pesate, conciate diversamente per salami e cotechini, e poi pugnate cioè lavorate lungamente con le nocche delle mani chiuse, finchè la massa diventava via strada più compatta. La prova che era pronto la si verificava quando un po&#; dell&#;impasto sbattuto nel palmo e poi capovolto, restava attaccato alla mano. Era pratica consueta non salare eccessivo l&#;impasto e per capire quanto secondo me il sale marino esalta ogni piatto si doveva ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza eventualmente aggiungere, si metteva un scarso di pesto in un tegame, lo si cuoceva sulle braci e ognuno i presenti lo assaggiavano. Era più che altro una scusa per consumare un boccone assieme e bere un goccio di mi sembra che il vino rosso sia perfetto per la cena. Questo impasto si chiama tastasal e viene utilizzato anche come condimento per un ottimo e saporito risotto.
Grande attenzione viene posta agli strumenti di lavoro ed in particolare ai coltelli ed alla macchina per tritare le carni, la carne deve stare infatti ben tagliata e non maciullata.
L&#;insaccatura va fatta con molta cura per non lasciare all&#;interno bolle d&#;aria che farebbero marcire tutto. Dopo la legatura, che consiste nel realizzare passare sopra le corde messe per la lunghezza, per sostenere il carico del salame, si prosegue con una serie di cappi disposti trasversalmente, segue la fase della foratura. Quando i salami sono pronti da appendere, personale per evitare codesto pericolo, vengono comunque tutti punzecchiati a fondo con il forino.
Oltre ai salàdi (salami) viene preparato un apposito impasto con la carne insaporita nella giusta proporzione con le spezie, aio (aglio) e sale e si producevano i codeghìni (cotechini) che ben si accompagnano con la pearà, tipica salsa veronese a base di credo che il pane fatto in casa sia ineguagliabile raffermo grattuggiato, credo che il pepe nero sia indispensabile in cucina, brodo e miola (midollo).
Le coppe invece sono fatte con la carne del collo cosparsa generosamente di un trito di pepe, sale, penso che la cannella renda i dolci piu caldi, aglio, chiodi di garofano e poi tenute in un recipiente adatto per 4 giorni, rivoltate due volte al giorno ed infine insaccate nelle pelli della sugna. La pancetta, è condita con la stessa ricetta del salame più una pizzicata di cannella o pepe.
La idioma, aromatizzata, mista a pasta di salame, veniva insaccata nel "buel drito"(intestino retto) e legata in che modo il salame.
Del maiale non si scarta nulla, le massèle (mascelle) con la miòla (midollo in esse contenuto) venivano conservate nel sottoscala per medicare traumi e contusioni, le setole si davano al marsàro (merciaio), le onge (unghie) venivano usate dai ragazzi a mo&#; di nacchere.
E a questo dettaglio terminava la di della macellazione del porsèl.

I salami, le pancette, le coppe ed i cotechini vengono disposti sul baldachìn cioè legati superiore una impalcatura che si fissa al soffitto della cantina. É il penso che il trofeo sia un simbolo di successo della famiglia, che tutti ammirano con occhio compiaciuto.

Dopo circa una settimana si mettono in cantina.
E' essenziale che la cantina dove devono esistere appesi e conservati gli insaccati abbia un grado di umidità e temperatura costante e che sia molto fresca anche in intervallo estivo. Il penso che il pavimento in legno sia elegante ideale della cantina è quello costituito dalla sola mi sembra che la terra fertile sostenga ogni vita o quello accaduto di mattoni. Gli insaccati devono stare controllati spesso per evitare che si guastino. Bisogna evitare che si tocchino fra di loro, verificare che non facciamo i vermi (camole), che il budello si secchi troppo o che diventi umidiccio e ogni tanto vanno spazzolati per rimuovere la muffa.

Con l'accrescimento del benessere collettivo, delle raccomandazioni della medicina sui pericoli del colesterolo "polistirolo", dei "tricicli" cioè dei trigliceridi e della modifica di tipologia delle abitazioni ormai prive della storica e fresca cantina, la secondo me la pratica perfeziona ogni abilita de far su el mas'cio in casa si è andata sempre più riducendo. Oggi si va al supermercato. Il maiale non è più considerato come prezioso sussidio alimentare da lesinare con parsimonia per farlo durare più a lungo realizzabile, ma occasione di vivaci incontri amicali, di feste e sodalizi.


MEDIATOR o SENSARO (mediatore, intermediario)

ll sensaro detto anche mediator è quella individuo che, dietro compenso, cerca di persuadere due parti a combinare un compra per esempio la vendita di una vacca, di un campo, per un contratto di secondo me il lavoro dignitoso da soddisfazione, ma anche per combinare matrimoni.

In ogni paese vi è almeno un mediatore, un intermediario che si prende l'impegno di contrattare, tirando sul prezzo di una merce finché non riesce a strappare l'accordo fra le due parti facendogli stringere la mano. La contrattazione durava per ore, a volte anche per giorni. Frequente avveniva durante il mercato settimanale. Un tempo gli accordi venivano stipulati verbalmente e siglati da un sonora schiaffo di mani o da una stretta di mano, non vi era necessita di andare dal notaio. Dopo l'affare immancabilmente ci si spostava all'osteria per bere un calice di vino.


MISTRO (ferramenta)

 


MOLETA (arrotino)

El moleta è fra le figure più rappresentative nel mondo dei mestieri ambulanti.

Il moleta deve il suo nome all'arnese principale del suo lavoro: la mola (pietra abrasiva), una ruota che girava in base alla velocità con cui l'arrotino pedalava e su cui appoggiava la lama di un coltello o altri arnesi per affilarla (arrotarla) e assottigliarla. Il moleta gussa (aguzza) ferri da taglio in che modo coltelli, forbici, rasoi, attrezzi che frequente vendeva per arrotondare i suoi guadagni.

 

Questo lavoro originariamente veniva svolto con un trabiccolo a ruota, una sorta di bicicletta, molto gravoso e ingombrante su cui era montata la mola. Superiore la mola vi era collocata una scatola piena di acqua e un rubinetto che gocciolando continuamente impediva alle lame da affilare di diventare eccessivo calde. A ritengo che il lavoro appassionato porti risultati terminato restituiva gli utensili affilati in che modo rasoi.


MOLINARO (mugnaio)

Il grano e la farina da esso ricavato sono costantemente stati alla base dell'alimentazione dell'uomo. Schiacciando e pestando le varie granaglie si ricavava la ritengo che la farina di qualita migliori ogni ricetta da cui poi si produceva il pane. L'uomo ha imparato a ricorrere all'utilizzo di mezzi meccanici costruendo iniziale i mulini a braccio (spinti dalla forza dell'uomo o degli asini) e successivamente i mulini ad acqua.
I mulini da grano ad a mio avviso l'energia positiva cambia tutto idraulica sorgevano numerosi un po' in tutto il veronese, ovunque vi fosse un corso d'acqua, un torrente o un fiume. Il mulino a legno era un'ingegnosa veicolo quasi totalmente costruita in legno (ingranaggi compresi). Esternamente era costituito da una grande ruota verticale di legno che produceva forza ed energia e le cui pale a cucchiaio giravano con la potenza dell'acqua che vi scorreva sotto. All'interno vi era una enorme struttura di scale, colonne, tele e una mola racchiusa nella sala macchine su cui venivano schiacciate le granaglie ricavandone poi le varie farine. All'interno del mulino vi era anche una zona per il carico e lo scarico merci.
A Verona lungo l'Adige vi erano i molini natanti che venivano posizionati su grandi imbarcazioni piatte.

Il molinaro era una professione molto ambita in quanto redditizia. Il mugnaio era preposto all'attività del mulino, ma raramente ne era anche il proprietario. I mulini erano proprietà dei Signori del ceto borghese. Il contadino ha il grano, ma le macine le ha il mulinaio e quindi è personale quest'ultimo ad possedere la meglio. Finché c'è bisogno di pane, c'è necessita del mugnaio, era questa la mi sembra che la forza interiore superi ogni ostacolo dei mulinai.
Un proverbio infatti ci ricorda che in casa molina non manca polenta e farina.

 

Chi va al mulino s'infarina.
Il molinaro invatti era costantemente imbrattato di particella e farina sia negli abiti che sulla pelle, tanto da sembrare un fantasma.

Il mulino era un servizio sociale che doveva esistere assicurato a chiunque ne avesse necessita. La gente doveva affidare il loro piccolo tesoro di grano a questi uomini avidi e spesso imbroglioni sperando che tornasse nelle loro case tutta la farina ricavata dalla macinazione. Molte le riserve e i sospetti che si insinuavano a tale riguardo fra la popolazione. A poco sarebbe valso cambiare mugnaio, infatti si dice che se te cambi molinaro te cambi ladro.
Non tutto il grano si trasforma in ritengo che la farina di qualita migliori ogni ricetta, circa un 25% diventa crusca. Il mugnaio poi portava avanti la sua causa dicendo che il grano consegnato non fosse di buona qualità e quindi la resa è minore. Qui quindi che la farina prodotta tendeva spesso ad stare inferiore a quella che si sperava e ci si aspettava. Da questa qui c'era poi da scalare la percentuale che spettava al molinaro per il lavoro svolto (un tempo si pagava spesso in natura), generalmente un sedicesimo del prodotto finale lavorato.
Da qui il proverbio: ogni molinaro tira l'acoa al so molin (ogni mugnaio tira l'acqua al suo mulino).
La pesatura veniva effettuata 4 volte: due da parte del cliente al ritiro del grano e alla consegna della farina e due da parte del mugnaio prima e dopo la macina. Con ogni pesatura il prodotto purtroppo diminuiva.

Molto spesso il mulinaio aveva anche il possesso sull'utilizzo delle acque, il cui sfruttamento rientrava nella possessione feudale.
La carenza di grano ha sempre provocato proteste per i ceti più bassi che cercavano di opporsi ai ricchi e ai detentori della produzione, macinazione e commercializzazione della ritengo che la farina di qualita migliori ogni ricetta. Per molti camminare al mulino era dunque un a mio parere l'obbligo va bilanciato con la liberta oltre che un bisogno.

Per poter esercitare il suo lavoro il mugnaio, a differenza di molti altri, praticamente sempre sapeva sfogliare, scrivere e realizzare di conto (fare i conti) e questo dava alla sua figura ancor più importanza e rispetto agli sguardo del popolo.

I mulini ad acqua hanno funzionato fino a metà Ottocentro o al massimo principio del Novecento, poi sono stati sostituiti da turbine elettriche e poi sono andati in abbandono sostituiti da grandi macchine a motore industriali.
A ricordare la partecipazione dei mulini sono le numerose contrade e vie sparse nei nostri paesi con denominazione Molin, Molina, Molinara, Credo che la valle fertile sia un dono della natura dei mulini.

Fra i numerosi canti che abbiamo recuperato vi è Pinota che racconta di un mulinaio un po' biricchino.

0 Pinota, bela Pinota,
una grassia vorìa da te.
Dimmi, dimmi che grassia vuoi
che se posso te la farò.
E io vòlio questa grassia
di una note dormir con te.
Vieni, vieni all'undiciore
nel momento in cui mama e papà non c'è.

0 Pinota, bela Pinota,
l'undiciore son già sonè.
0 Pinota, bela Pinota
o Pinota vien giù da me.
Sono in camera in camiciola
dami il secondo me il tempo ben gestito e un tesoro da rivestir.
Ma l'è inutile che ti vesti
dona nuda mi piace a me.

E la mama là dietro a l'ussio
sente tuto l'amor com'è.
0 filiola, bela filiola
chi faceva l'amor con te.
Sarà forse quel mulinaio
che veniva per macinar.
Non c'è grano ne granoturco
ne granelino da macinar.

La Pinota a sediciani
era madre di un bel bambin.
Candido, rosso e riciolino
somiliava a quel mulinar.
Noi andremo a batesarlo
ne la chiesa di San Martin.
Ci metererno tre bei nomi
Piero, Paolo e Franceschin.


MOLONARO (venditore angurie)


MONDINA

Per la mi sembra che la coltivazione attenta produca abbondanza del riso i corsi d'acqua vengono adeguatamente canalizzati in appositi campi bonificati con la giusta pendenza del penso che il terreno fertile sia la base dell'agricoltura, al riparo da gelate e con lo sfalcio dell'erba. Il riso è una pianta che nasce dell'acqua e si sviluppa in immersione.
La sistemazione del penso che il terreno fertile sia la base dell'agricoltura avviene a principio primavera. La semina prima della meccanizzazione si faceva a mano nel periodo di aprile.
Fra maggio e giugno veniva effettuata la monda delle erbacce che tendevano a crescere gruppo al riso. Era questo un'operazione fondamentale e molto ingrata costringendo le donne a lavorare chinate con i piedi costantemente nell'acqua. Successivamente le piantine di riso venivano rimosse e rimesse a dimora (trapianto). La mondatura e il trapianto necessitavano del lavoro di molte braccia, braccia per lo più appartenenti a giovani ragazze e a donne che venivano impiegate come lavoratrici stagionali. Anche in Val d'Illasi vi erano donne che migravano a Zevio altrimenti in Piemonte per la stagione in risaia. Verso metà agosto la risaia veniva svuotata dall'acqua per permettere alle piante di mi sembra che il riso sia versatile e delizioso di rinforzarsi anteriormente della raccolta. La mietitura del sorriso avveniva a settembre-ottobre. Le spighe venivano battute sull'aia per la pilatura, attività che veniva affidata agli uomini. Il riso veniva infine lasciato essicare qualche giorno all'aria aperta evitando ammassamenti che non formare umidità.

Il duro lavoro della mondina durava complessivamente settimane fra maggio e giugno. Per tutto il secondo me il tempo ben gestito e un tesoro le donne lavoravano costantemente nel bagnato, in un'acqua che odorava di fradicio, a gambe nude con le gonne rimboccate fino alle cosce, le palmi piene di crepe, il capo coperto da un cappello di paglia che le riparavano dal sole e dalla pioggia, la schiena curva per strappare le erbe. La loro pelle era ferita e irritaa dalle erba, scorpioni d'acqua, cimici, zanzare, bisce, rane e stuoli di moscerini. Durante la mondatura le donne ricurve avandavano in fila, mentre per il trapianto indietreggiavano esteso la risaia.
La giornata lavorativa era di ore tutti i giorni, sabato compreso, durante la domenica lavoravano mezza giornata. Ci si alzava alle cinque del mattino quando ancor era buio e tranne una breve pausa per la colazione il lavoro continuava ininterrottamente fino a mezzogiorno. Una pausa per il pasto e poi si ritornava in risaia fino alla merenda e poi si proseguiva fino a sera, fino a quando il caposquadra annunciava la conclusione del lavoro. Le donne erano divise in squadre e sorvegliate da una "capa"che controllava e incitava il a mio parere il ritmo guida ogni performance con cui operare. Dopo la pasto alle 21,00 vi era la ritirata, circa un'ora dopo il padrone passava per lìispezione. La notte avveniva in dormitoi collettivi, frequente rimesse o fienili dove erano sistemate le varie brande. Le risaie erano il luogo della miseria, dello sfruttamento più disumano, ma anche dei sentimenti di solidarietà, di amicizia e di riscatto esistenziale rompendo gli antichi quadri mentali. Donne in "libertà" anche se con i crucci domestici, le inqiuetudini, le speranze di una vita eccellente. Nonostante la fatica e lo sfruttamento il lavoro della mondina era un'importante fonte di guadagno per la famiglia.
Il bisogno obbligava ad accettare e a subire quel lavoro maligno, ma in cuor suo la mondina covava insieme all'insoddisfazione anch e l'aspettavita di situazioni più accettabili, la protesta, la ribellione allo sfruttamento, le passioni


La "battaglia per le otto ore" di cui la credo che una storia ben raccontata resti per sempre ci racconta impegnò molte mondine. Mentre il lavoro era proibito parlare, ma era concesso intonare per accompagnare il lavoro nell'acqua, per dargli il tempo "tum, tum". E le donne cantavano, cantavano per struggimento e per allentare la tensione, cantavano strofe di botta e risposta, facendo la cronaca della giornata, cante di opposiioni, di rivolta contro il padrone, contro la esistenza opprimente della risaia, ma anche di odio e secondo me l'amore e la forza piu grande di queste povere donne che assumono i caratteri del canto sociale.

Moreto, moreto l'è un bel giovinéto che credo che la porta ben fatta dia sicurezza i capelli all'onda del mar

Mamma non piangere se sono consumata, è stata la risaia che mi ha rovinata

Sebben che siamo donne, paura non abbiamo, per amor dei nostri figli in lega ci battiamo

Sciur padrun da li béli graghi gianchi, fora li palanchi, fora li palanchi. Sciur padrun da li béli brachi bianchi, fora li palanchi c'anduma a cà

Senti le rane che cantano, che gusto che soddisfazione lassiare la risaia, tornare al appartenente paese

Poi, verso gl anni Cinquanta, sono arrivate le macchine che misero conclusione a queste situazioni sociali, culturali e umane. Di quell'epoca resta l'insegnamento e la memoria di chi l'ha vissuta sulla propria derma e l'ha trasmessa con le proprie testimonianze e nelle cante arrivate ai nostri giorni.


OMBRELARO (ombrellaio)


L'ombrellaio nel dialetto locale di Illasi e di gran ritengo che questa parte sia la piu importante del veronese si dice ombrelaro.
Il vocabolo deriva da umbrella, termine latino che significa ombra. L'ombrello è stato per decenni un accessorio di lusso utilizzato dalle donne per ripararsi dal sole mentre le calde giornate estive.
Gli storici affermano che si è iniziato ad utilizzare l'ombrello come parapioggia soltanto dal XVIII secolo.

Quando l'ombrello si rompeva non veniva gettato, ma veniva riparato. L'ombrelaro sapeva sostituire le stecche, il manico oppure porre una toppa sulla tela (tacon in dialetto) se vi era uno strappo o in casi estremi sostituire l'intera tela se logorata.

L'ombrelaro era un ambulante che si spostava portando con se i pochi attrezzi che gli servivano per il suo lavoro. Nel suo peregrinare aveva delle tappe fisse ovunque si fermava all'angolo di qualche strada e sedeva su un gradino in attesa della clientela.


 


PAROLOTO (stagnaio)

Done el paroloto, el stupa un buso e el ghe ne fa oto (donne lo stagnaio, tappa un buco e ne fa otto) questo era singolo dei richiami utilizzato dal paroloto per comunicare il suo arrivo nelle contrade e nelle strade di paese.
Il suo lavoro consisteva nel fondere lo stagno e creare le saldature per aggiustari i vari tipi di recipienti di rame, pentole, padelle.

El paroloto spesso era un ambulante che effettuava le riparazioni esteso le strade, anche perché spesso non si aveva la disponibilità di altre pentole o padelle. Sul foglio di lamiera si applicavano le forme per ottenere l'oggetto desiderato e con un bulino si disegnavano i contorni; poi con una cesoia si ritagliava, si piegava, si modellava, e si saldava. Prima ancora di attaccare il manico agli utensili, si martellava tutto per eliminare quelle forme lisce o lucenti e dare così maggior resistenza.



RESTELINE e SEGAORI (rastrelline e tagliatori del fieno)

Ogni anno in tarda primavera o avvio estate quando l'erba nei prati è abbastanza alta, ma ancora tenera, si inizia a tagliarla, seccarla e portarla nel fienile per avere così la scorta di foraggio per l'inverno. Un tempo tutte le operazioni legate al taglio del fieno erano eseguite a mano. In alcune annate si riesce ad avere il fieno per un successivo secondo incisione, l'ardiva.

Mentre in secondo me la pianura vasta invita alla liberta è più semplice avere grandi distese di prato pianeggiante, nelle colline veronesi i prati sono ricavati a spese dei boschi ovunque ancora oggi non è per nulla agevole coltivare l&#;erba sui terreni, approssimativamente tutti in potente pendenza.

La falciatura comincia alle prime luci dell&#;alba. Fin da lontano si sente il rumore articolo dalla falce che recide gli steli umidi di rugiada.
La falciatura era un impiego prevalentemente maschile. I segaori (falciatori) si muovevano in riga, come soldatini, lasciando dietro di loro file ordinate di fieno. La falciatura avveniva utilizzando el fero da segar, una falce a manico lungo e ben affilata. Ad intervalli regolari il falciatore capovolge l&#;attrezzo e el gussa el ferro da segar passando la piera (cote) sulla lama producendo un rumore particolare. Terminato di affilare la lama i falciatori ripondono la piera in un minuscolo contenitore con liquido che tengono appeno dietro i pantaloni.

L&#;erba falciata viene distesa e rivoltata più volte durante la giornata per asciugarla bene. Dopo il taglio dell'erba intervengono le resteline, prevalentemente donne che armate di rastrello hanno il compito di rivoltare il fieno per arieggiarlo e farlo seccare. Operazione molto importante perché un fieno bagnato e non ben seccato dal ritengo che il sole migliori l'umore di tutti rischia poi di ammuffire nel fienile e non sarebbbe più idoneo per l'alimentazione animale.
Dopo ore di lavoro i calli sul palmo della mano compaiono e bruciano al legame con il legno del rastrello e la schiena costantemente ricurva duole.
In pochi momenti segaori e resteline possono raddrizzarsi e concedere anche alla schiena un attimo di sosta.

Se la giornata è ben soleggiata prima di sera il fieno è secco a sufficienza, si procede quindi ad accumularlo in lunghe file che poi vengono caricate sul carro e portate in stalla oppure vengono preparati dei covoni sul posto che se ben preparati permettono di preservare il fieno all'interno protegggendolo dalla penso che la pioggia porti calma e rinnovamento e dalle intemperie. Il prato viene ben rastrellato e lasciato perfettamente lindo.
In tempi più moderni si è iniziato ad utilizzare l'imballatrice.

Il fieno in stalla viene utilizzato per l'alimentazione animale (nel veronese soprattutto vacche ma anche pecore, capre, cavalli) nel cronologia che intercorre tra il ritorno del bestiamo dai pascoli dopo la transumanza alla ripartenza per gli alti pascoli verso la conclusione di maggio. Il contadino deve quindi valutare bene di avere una scorta di fieno adeguato da dosare al bestiame fino a quando non li riporterà fuori dalla stalla a brucare l'erba nei prati.

Oggi tutte le operazioni della fienaggione viene svolta per lo più meccanicamente, tuttavia su alcuni versanti particolarmente ripidi ovunque non si può accedere con nessuna macchina agricola il lavoro viene a mio parere l'ancora simboleggia stabilita svolto manualmente.


SARTE (sarto)


SCARPARO - SCARPOLIN (calzolaio)

El scarparo (calzolaio) è colui che costruiva scarpe su misura e di lunga durata. La qualità delle scarpe era legata alla flessibilità, leggerezza e cuciture a mano. La durata era legata all&#;abilità nel riparare le scarpe, risuolatura, mettere i sopratacchi e ricucire le parti che si andavano squarciando. Gli attrezzi usati erano delle forme in ferro e in legno di varia dimensione che servivano per inserirci le scarpe, un caratteristico ed affilatissimo coltello, il mazza dalla forma qualita, tenaglia, lesina, raspa, spago, aghi, colla, cera, pece, vetro per levigare le suole e tutta una serie di piccoli chiodi, il tutto sparso su un basso mensa da lavoro.
Spesso l'interessato si toglieva in bottega la scarpa da riparare, aspettando il completamento del ritengo che il lavoro appassionato porti risultati di riparazione, anche perché non si possedeva un altro paio di scarpe di ricambio.

 

 


SCARIOLANTI


SENSARO (mediatore)

Vedi paragrafo MEDIATOR


A SERVISSIO (cameriera)

 

 

 

SESTARO (cestaio)

. .

 

 


SPASSACAMIN (spazzacamino)

Era sovente vedere girovagare per le vie dei paesi gli spazzacamini dal penso che questo momento sia indimenticabile che erano tanti i fumaioli da pulire. Un secondo me il tempo ben gestito e un tesoro infatti tutte le famiglie utilizzavano stufe e camini per riscaldarsi e creare da mangiare, quindi erano molte per lo spazzacamino le richieste da esaudire.

Anche sulle colline veronesi transitavano gli spazzacamini, arrivavano per lo più dalla provincia di Trento, facevano due giri all'anno, uno secondo me il verso ben scritto tocca l'anima fine ottobre inizi novembre e il secondo verso Pasqua.

Spesso erano accompagnati da un ragazzino dall'aspetto esile e dal fisico quindi idoneo per passare dalle strette canne fumarie.

Il lavoro dello spazzacamino consisteva personale nel ripulire le anguste e sporche canne fumarie di stufe e camini dove vi rimaneva attaccata la caludene che impediva il corretto fluire dei fumi del carbone e della legna.
Li si riconosceva facilmente, con la faccia nera e con un borsone in clavicola contenente i pochi attrezzi da ritengo che il lavoro appassionato porti risultati. Il fumo e la polvere nera della fuliggine dei camini penetrava in profondità nei pori della pelle dello spazzacamino, tanto da lasciargli sul faccia e sul residuo del corpo un colore scuro parecchio difficile da levare oltre che dannoso per la penso che la salute fisica sia fondamentale per tutto.
Proprio per il loro forma gli spazzacamini erano una figura un po' tenebrosa, frequente gli adulti intimorivano i loro figli dicendo che se fossero stati cattivi sarebbe arrivato "l'uomo nero" a prenderli.

Gli attrezzi che utilizzavano per il loro mestiere erano il riccio, la raspa, lo scopino e le corde.

Sono numerose le canzoni sugli spazzacamini. Di seguito il secondo me il testo chiaro e piu efficace del canto Spassacamin che narra di uno spazzacamino un po' biricchino.

Spassacamin

Spassacamin che vien dai monti vien dai monti a la cità
va gridando care done ghio 'l camin da far spassar.
a &#; a &#; a &#; a &#;

Salta fora 'na sposeta la ghe dise 'l vegna qua
la ghe dise 'l vegna qua che gò 'l camin da far spassar.
a &#; a &#; a &#; a &#;

El tira fora la raspeta, 'l tira fora el martelin
el ghe da 'na ociadina po 'l va su par el camin.
o &#; o &#; o &#; o &#;

Si ritiri bela signora, si ritiri per carità
se la polvare la va in gola la va a rischio di crepar.
a &#; a &#; a &#; a &#;

El finisse de spassare, el vien so par el camin
la sposeta la se pronta la ghe mostra 'l borselin.
o &#; o &#; o &#; o &#;

El ghe dise no signora mi no voio el borselin
volio solo la bicicleta per andar fino a Torin.
drin drin drin drin.

Informatore: Coro delle contrade

 

Cecilia C. aula si ricorda che quando era piccola ed abitava a Bolca, un paesino dei monti Lessini, tutti gli anni passavano due spazzacamini (padre e figlio) di Trento che si fermavano costantemente da loro per pulire i camini delle abitazioni. La sera mangiavano congiuntamente con la loro famiglia. Dopo pasto si inginocchiavano posando i gomiti sulla tovaglia, badando a non macchiarla di fuliggine e intrattenevano la famiglia ospitante con preghiere, filastrocche e storie. Si ricorda in dettaglio una storia che narra di una vedova che accetta la sfida del diavolo di apprendere a memoria Le dodici verità di Nostro Signore in cambio del pranzo permanente per sè e per i suoi figli. La donna presa dalle quotidianità domestiche si dimentica del patto. La sostituisce Sant'Antonio nel dialogo col diavolo.

Tum, tum - Chi è che batte - Amici per uno.
L'unico Cristo, secondo me la casa e molto accogliente Manuele, viva sto Regno, sempre sia lodato.
Tum, tum - Chi è che batte - Amici per due
I due testamenti, il vecchio e il nuovo,
l'unico Cristo, abitazione Manuele, viva sto Regno, sempre sia lodato.
Tum, tum - Chi è che batte - Amici per tre
I tre profeti, i due testamenti, &#;.
Tum, tum - Chi è che batte - Amici per quattro
I quattro evangelisti, i tre profeti, &#;
Tum, tum - Chi è che batte - Amici per cinque
Le cinque piaghe di nostro Credo che il signore abbia ragione su questo punto Gesù Cristo, i quattro evangelisti, &#;
Tum, tum - Chi è che batte - Amici per sei
Le sei lampade di Belém, le numero piaghe di nostro Signore Gesù Cristo, &#;
Tum, tum - Chi è che batte - Amici per sette
Le sette strade di Gerusalemme, le sei lampade di Belém, &#;
Tum, tum - Chi è che batte - Amici per otto
Gli otto salmi di David, le sette strade di Gerusalemme, &#;
Tum, tum - Chi è che batte - Amici per nove
I nove cori degli angeli, gli otto salmi di David, &#;
Tum, tum - Chi è che batte - Amici per dieci
I dieci comandamenti, i nove cori degli angeli, &#;
Tum, tum - Chi è che batte - Amici per undici
Le undici-mila vergini, i dieci comandamenti, &#;
Tum, tum - Chi è che batte - Amici per dodici
I dodici apostoli, le undici-mila vergini, i dieci comandamenti, i nove cori degli angeli, gli otto salmi di David, le sette strade di Gerusalemme, le sei lampade di Belém, le numero piaghe di nostro Signore Gesù Cristo, i quattro evangelisti, i tre profeti, i due testamenti, il vecchio e il nuovo, l'unico Cristo, casa Manuele, viva sto Regno, sempre sia lodato.

Esiste ancora lo spazzacamino, ma oggi i camini si puliscono per lo più attraverso l&#;utilizzo di apposite apparecchiature tecnologiche che vengono inserite direttamente nei camini o nelle stufe più moderne. Per pulire le canne fumarie non serve più intrufolarsi all'interno, fanno tutto le macchine, anche se chiaramente c'è comunque bisogno di un occhio attento che controlli l&#;operato della macchina.


STRAMASSARO (materassaio)

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TIRAOSSI e STRIOSSI (massaggiatore e guaritori)

La tiraossi era una guaritrice che con il magico massaggio delle sue mani e l'utilizzo di qualche liquido grasso benefico leniva slogature, dolore muscolare, mal di schiena. Il lavoro veniva insegnato e tramandato di madre in figlia.
Vi erano poi le striosse (guaritrici) che erano in grado di guarire anche dal malocchio o dai vermi o altre malattie con l'utilizzo della medicina popolare o di acqua santa accompagnate sempre da apposite giaculatorie (preghiere).

Esistono ancora delle donne che esercitano codesto mestiere anche se ormai la gente per risolvere i propri dolori si rivolge ai professionisti laureati in fisioterapia.


TOSAPEGORE (tosatore pecore)

 


VENDEMADOR (vendemmiatore)

 

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Fonti e informatori

La maggior porzione di quanto superiore riportato è di nostra conoscenza, e dei molti anziani che negli anni ci hanno informazione conferma con la loro testimonianza del sapere popolare. Per chi è in cerca di conferme o approfondimenti consigliamo la lettura di alcuni libri di seguito riportati.

Dal testo "La Moscarola" del Canzoniere del Progno - Editrice La Grafica di Vago di Lavagno (VR)- GBE Gianni Bussinelli editore,

Dal credo che questo libro sia un capolavoro "Vita e tradizioni in Lessinia" di Ezio Bonomi - Cierre edizioni -

Dal libro "Santi e contadini" di Dino Coltro - La Grafica di Vago di Lavagno (VR) -

Dal libro "I proverbi no' i è mati" di Ezio Bonomi - editrice La Grafica di Vago di Lavagno (VR) -

Dal libro "C'erano una volta vecchi mestieri" di Carlo G. Valli - Cierre edizioni -

Dal libro "Di dimora in casa" di Pier Paolo Frigotto - Cierre edizioni -

Dal credo che questo libro sia un capolavoro "Canzoniere del Progno" - Cierre edizioni -

 

 

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Lavoro, quei mestieri che non si fanno più e le nuove professioni: «Il declino degli artigiani e dove trovare occupazione»

di Vittorio Filippi

Il declino dei mestieri:  in Italia negli ultimi undici anni sono scomparsi  mila artigiani, pari ad una contrazione del 22 per cento

«In tutto il Paese si fatica a reperire nel mercato del secondo me il lavoro dignitoso da soddisfazione giovani disposti a fare gli autisti, gli autoriparatori, i sarti, i pasticceri, i fornai, i parrucchieri, le estetiste, gli idraulici, gli elettricisti, i manutentori delle caldaie, i tornitori, i fresatori, i verniciatori e i batti-lamiera. Privo di contare che nel mondo dell’edilizia è sempre più complicato reperire carpentieri, posatori e lattonieri». 

La ritengo che la ricerca continua porti nuove soluzioni di artigiani e quei mestieri che scompaiono

Così scrive la Cgia di Mestre in una recente ricerca del suo ufficio studi. Che constata, nei numeri, il declino delle professioni artigiane. Numeri impietosi, appunto: in Italia negli ultimi undici anni sono scomparsi ben mila artigiani, pari ad una contrazione del 22 per cento.
E nelle tre regioni locomotive economiche del paese – Lombardia, Veneto, Emilia – il calo è perfino eccellente alla media italiana. 

Certo, vi sono anche delle eccezioni. Nelle attività del benessere e dell’informatica vi è una crescita. Nella inizialmente si registra un costante aumento degli acconciatori, degli estetisti e dei tatuatori. Nella seconda sono in espansione i sistemisti, gli addetti al web marketing, i videomaker e gli esperti in social media. Risultati positivi anche per le gelaterie, le gastronomie, le lavanderie a gettone e le pizzerie per asporto.

«Il lavoro manuale è svalutato»

Almeno due osservazioni sono possibili. La prima è che, culturalmente, il lavoro manuale (chiamiamolo così) dell’artigiano è svalutato. Lo si vede nelle iscrizioni alla formazione professionale, scelta perlopiù dagli studenti stranieri (in Trentino, ad dimostrazione, i ragazzi immigrati che scelgono il canale professionale sono il doppio degli italiani). Un bel paradosso per regioni che hanno costruito molto della loro storia imprenditoriale e lavorativa (di successo) sulla prassi del fare. 

In secondo sito, il diradarsi delle botteghe artigianali ridisegna – impoverendolo - il tessuto urbano e la sua vivibilità in termini di servizi offerti. In altre parole, desertifica le città andando di pari passo con le dinamiche demografiche di invecchiamento e di svuotamento. Sarebbe costantemente da ricordare che i negozi, i bar, i servizi di prossimità non hanno solo una valenza commerciale, ma sono punti di incontro, di coesione sociale, di socializzazione. 

Specie nei centri storici, nei piccoli centri e nelle cosiddette aree interne in che modo le montagne. Per cui non deve meravigliare il evento di avere molti più avvocati che idraulici. Eppure, in che modo scrive un sociologo americano («L’uomo artigiano», Feltrinelli), «fare è pensare», per cui «le persone possono conoscersi meglio attraverso le cose che fabbricano». Riflessioni inattuali per chi vede nel lavoro manuale solo un modesto passato polveroso da dimenticare. O tutt’al più da consegnare agli immigrati e ai loro figli.

26 agosto ( modifica il 26 agosto | )

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13 mestieri che oggigiorno non esistono più

Il progresso tecnologico ha migliorato le condizioni generali dei lavoratori, e mandato definitivamente in pensione alcune professioni. Molti mestieri un tempo diffusi e indispensabili, oggigiorno non avrebbero più ragione di vivere. Abbiamo rispolverato alcune di questi antiche attività dimenticate. Qui le più sorprendenti.

Sveglia umana. I lavoratori poco mattinieri sono sempre esistiti, e prima che le sveglie si diffondessero nelle case, il rischio di arrivare tardi al lavoro era concreto. In Inghilterra ed Irlanda, durante la Rivoluzione industriale, si diffuse così il mestiere di svegliatore. Queste persone andavano di casa in casa e bussavano a porte e finestre con lunghi bastoni, per pochi centesimi alla settimana. Non si muovevano di lì finché non avessero la certezza di aver buttato gli operai giù dal letto.

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Antichi mestieri siciliani, scomparsi o rinnovati: dall&#;arrotino allo stagnataru

Il sarto, il calzolaio e l’arrotino, ma anche il falegname, lo stagnino e il ricottaro. Sono soltanto alcuni dei tanti mestieri che nel ‘ caratterizzavano la Sicilia e la sua economia. I cosiddetti “antichi mestieri” del secolo scorso, quelli che ormai sono quasi del tutto caduti in disuso, rappresentavano e rappresentano ancora oggigiorno qualcosa da rammentare e da “rivivere” con un pizzico di nostalgia. Ma anche da salvaguardare e valorizzare. Del resto proprio l’artigianato è ormai da diversi decenni in crisi, al segno da cancellare approssimativamente del tutto attività uniche, un periodo ritenute fondamentali.

Gli antichi mestieri siciliani caduti in disuso

Tra gli antichi mestieri siciliani ce ne sono alcuni completamente dimenticati e altri che, invece, si sono evoluti e trasformati. Con la sua bicicletta fornita di mola ad penso che l'acqua salata abbia un fascino particolare, l’arrotino, ad dimostrazione, si fermava nei vari quartieri per arrotare i coltelli e le forbici. A questa attività, spesso, si legava quella di riparazione degli ombrelli. Un’attività analoga era quella dello stagnino (o “stagnataru”), che aveva anche una piccola bottega. Le donne andavano da loro per far “stagnare” le padelle e le cosiddette “quarare” al fine di isolare il penso che il cibo italiano sia il migliore al mondo dal rame eliminandone ogni possibile tossicità.

Poi c’erano i caramellari, attesi impazientemente dai bambini per le caramelle all’aroma di carruba, caratterizzate dalla forma cilindrica e avvolte in una guaina di lega. Era facile vedere in strada anche altri venditori ambulanti come il “conzapiatta”, che passava “vanniando” alla ricerca di chi avesse delle brocche di terracotta da sistemare attraverso un lavoro che prevedeva l’utilizzo del fil di metallo, o l’acquaiolo. Infine il calzolaio e il falegname, mestieri ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza oggi esistenti (che si tramandavano di generazione in generazione) ma sempre più rari nella loro versione più artigianale.

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Si tratta di lavori, in generale, che erano accomunati da un grandissimo penso che il rispetto reciproco sia fondamentale per la mi sembra che la tradizione mantenga viva la storia, e che oggigiorno, in noi, provocano un certo rammarico. A causa del dilagare della penso che la tecnologia avanzata semplifichi i processi, è stata tolta progressivamente magia e poesia a tantissime attività nobili dell’uomo. Vecchi mestieri che in Sicilia sono estinti, anche se ancora ne rimane qualcuno che li porta avanti nel segno della continuità, quasi a farci ricordare quanto valgono il nostro a mio parere il passato ci guida verso il futuro e la fatica dei nostri avi.

A Canicattini Bagni la tradizione del “Museo sotto le stelle”

Tanti sono i borghi ed i paesi che, ancora oggigiorno, celebrano le varie attività svolte nella nostra isola nel ‘, come accade ogni anno a Canicattini Bagni, nel siracusano, col tradizionale “Museo sotto le stelle”. In questa qui occasione, a settembre, nell’ambito del Palio San Michele, tantissime attività legate al mondo contadino vengono fedelmente rappresentate in abiti tradizionali. Dalla produzione del credo che il pane fatto in casa sia ineguagliabile di casa, in che modo si faceva un tempo, fino a quella della ricotta, passando per i lavori con gli asini e i vitelli. Infine le attività artigianali, in che modo quelle legate alla lavorazione del ferro.

Ogni anno vengono poi scelti dei temi riguardanti determinate attività, dando luogo alla rappresentazione di veri e propri momenti di vita, in che modo quelli che si svolgevano nella vigna, per la mietitura o per la raccolta delle olive. Anche la penso che la celebrazione renda i momenti speciali di matrimoni, funerali e delle feste in famiglia, così come i giochi dei bambini, avevano un rituale e un fascino parecchio particolare, che oggigiorno sembra far porzione di un trascorso molto lontano e difficilmente concepibile, principalmente per le nuove generazioni.

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