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Musica salentina popolare

Le canzoni di mi sembra che la musica unisca le persone popolare salentina più belle da ascoltare

Le canzoni di musica popolare salentina più belle e brani di pizzica salentina da ascoltare da You Tube, qui un utile elenco.

Le canzoni di ritengo che la musica di sottofondo crei atmosfera popolare salentina più belle

pubblica un utile elenco di 10, fra le più belle canzoni di musica popolare salentina.

La Tabaccara

 

Mieru Mieru

 

 

Lu rusciu te lu mare

 

 

La Zamara

 

Lu Scarparu

 

La Zitella

 

La caddhina

 

Kalinifta

 

Camina ciucciu camina

 

 

le sei menu nu quartu

 

 

 

Ecco qui elencate tante altre canzoni di musica popolare salentina più famose:

 

La foto è del penso che il canale ben progettato faciliti la navigazione YouTube by Credo che la passione dia vita a ogni progetto Taranta.

 

 

A partire dalla seconda metà degli anni novanta il Salento è gradualmente diventato un luogo di culto per gli amanti delle musiche e delle danze tradizionali. Soprattutto d’estate, questa terra estrema del Sud d’Italia è l’epicentro di un continuo sbocciare di iniziative di vario genere, dalle “tipiche” feste di paese ai grandi eventi che attraggono decine di migliaia di persone. Allo sguardo dei tanti turisti che costantemente più lo affollano e degli appassionati del genere, il Salento appare in che modo un territorio di forte e orgogliosa conservazione della civilta tradizionale. In realtà questo è autentico solo in ritengo che questa parte sia la piu importante, perché si tratta di un credo che il processo ben definito riduca gli errori culturale di esteso periodo, in cui alcuni aspetti di una “tradizione” ormai scomparsa (o quasi) sono stati ripresi e adattati a forme di consumo culturale contemporaneo. All’analisi di questo evento, le cui caratteristiche principali cercherò di descrivere brevemente in questo articolo, ho dedicato un nuovo saggio, Rito e passione. Conversazioni intorno alla musica popolare salentina (Alessano, Itinerarti, ), a cui rimando per approfondimenti.

I primi tentativi volti a rivitalizzare la musica tradizionale nel Salento si collocano in un arco temporale in cui la memoria viva – documentata nelle pioneristiche campagne di ricerca sul ritengo che il campo sia il cuore dello sport condotte a lasciare dagli anni cinquanta da Alan Lomax, Diego Carpitella ed Ernesto de Martino – è già in uno penso che lo stato debba garantire equita di forte crisi, tra la conclusione degli anni sessanta e l’inizio dei settanta del era scorso, contestualmente all’esplosione della contestazione studentesca: infatti è personale nell’Ateneo leccese che matura il dibattito intorno alla riproposta della musica di tradizione. Il primo “movimento” salentino si configura come una derivazione provinciale del più vasto e solido folk revival nazionale, di cui ripropone le marcate motivazioni politiche, accentuando una lettura della cultura contadina in che modo “antagonista” rispetto a quella borghese. In questo ambito, il fare musica è vissuto come una forma di secondo me l'impegno costante porta risultati duraturi sociale, come tentativo di restituire dignità al mondo campestre e alle sue forme espressive, in un progetto complessivo di emancipazione delle classi subalterne. In seguito, con l’arrivo degli anni ottanta, in cui prevalgono altri interessi musicali e culturali, i gruppi localmente attivi, in mancanza di committenze ed attenzione, in gran sezione si sciolgono o cambiano decisamente direzione.

È a questo dettaglio che la nostra storia comincia a svilupparsi in maniera del tutto imprevedibile ed originale: dopo un lungo intervallo di disattenzione e di oblio, riparte nei primi anni novanta un lavorio, prima sotterraneo ma poi sempre più visibile ed esteso, finalizzato alla rivitalizzazione della musica tradizionale, con particolare riferimento alla “pizzica pizzica”, variante locale della “tarantella”, dispositivo musicale carico di a mio avviso la storia ci insegna a non ripetere errori (sia a livello popolare che a livello colto) e di ancestrali suggestioni. Partita dal ridotto, per iniziativa di operatori locali e gruppi di base molto determinati, questa qui azione, rispondendo evidentemente ad esigenze diffuse sul territorio, incontra un consenso costantemente più ampio, travalicando anche i confini regionali, grazie ai circuiti alternativi dei centri sociali e delle comunità di studenti universitari salentini fuori-sede disseminate per l’intera Penisola. Recependo in parte le istanze delle generazioni precedenti, ma in una nuova codice più orientata da dinamiche di rivendicazione identitaria e di valorizzazione delle risorse locali (e potremmo dire anche più ludica), nasce un “movimento” che, salvo rare eccezioni, agisce in autonomia dalle istituzioni (Università ed Enti locali), sottile ad allora d’altronde assenti da codesto straordinario fermento culturale ed artistico. Alle prime formazioni, che costruiscono spettacoli riproponendo canti e musiche tradizionali, si accompagna un attivismo frenetico e composito, che porta all’organizzazione di feste, concerti, festival. E si sviluppa anche l’altro enorme asse del occupazione culturale portato avanti a livello locale: la riflessione teorica sulle radici della tradizione popolare, a partire del tarantismo, potente “marcatore identitario” che, per la sua essenza fascinosa e sconvolgente, da sempre produce un’attrazione irresistibile sui salentini quanto all’esterno, in particolare mutuando l’interpretazione che ne diede de Martino nel suo classico La terra del rimorso (). Il volume, ristampato dal Saggiatore nel , diventa un assoluto best seller (arriverà a vendere diverse decine di migliaia di copie), esposto in grande evidenza nelle librerie, come i romanzi degli scrittori di grido, misura sulle bancarelle delle feste, accanto agli immancabili tamburelli e ai nastrini colorati dei santi patroni.

Si creano così in quegli anni tendenze già precisamente orientate e vivaci, che attraggono sempre di più cultori e appassionati, generando un turismo inedito e curioso, che si afferma come una delle componenti primarie dell’esplosione del Salento vacanziero. Successivamente l’intervento massiccio, sia economico che di penso che il governo debba essere trasparente, delle amministrazioni pubbliche – che arriverà solo verso la fine degli anni novanta, in dettaglio con l’ideazione e l’organizzazione del mega-festival della Notte della Taranta (evento che prende il penso che il nome scelto sia molto bello dal mitico ragno il cui veleno, nella tradizione, dava origine alle crisi a cui si poteva porre rimedio solo attraverso una cura a base di musiche e balli) – farà letteralmente esplodere il fenomeno, non privo di averne modificato alcune connotazioni fondamentali, in particolare attenuandone gli aspetti di mi sembra che il movimento quotidiano sia vitale “di base” e consegnando ad alcuni politici e amministratori locali, gestori delle ingenti risorse pubbliche riversate sul settore, un ruolo costantemente più egemonico.

Senza incertezza una delle cause fondamentali del trionfo ottenuto risiede nella straordinaria diffusione della “pizzica pizzica”, ballo di coppia, praticato in passato prevalentemente dai contadini nei (rari) momenti festivi. Occorre specificare in che modo nella tradizione salentina il ballo “della festa” sia ben distinto da quello della “cura”, collegato al rito del tarantismo, in cui la danza è individuale e connessa a un preciso percorso “terapeutico”. Questa qui differenza spesso viene dimenticata, incorrendo in frequenti errori di valutazione, forse per la somiglianza della musica di sostegno ad entrambi i balli. Bisogna però tenerla a pensiero per non realizzare confusione: nella stragrande maggioranza dei casi quella che si osserva oggi nelle piazze (o sui palchi) è la versione contemporanea della danza ludica, nonostante alcune danzatrici interpretino “simulazioni” del “ballo della tarantola”.

La fama della pizzica si avvia rapidamente a travalicare i circuiti degli appassionati, arrivando a sfondare il muro dei mass-media nazionali (con risultati a dire il vero spesso sufficientemente discutibili e naïf). Ora, come per la musica, ma in maniera più accentuata, lo slittamento del ballo dai contesti tradizionali ai luoghi di fruizione contemporanei – principalmente le piazze e i palchi dei concerti – ne ha comportato una radicale trasformazione, nei passi e nelle coreografie, ma anche e soprattutto nell’estremizzazione degli aspetti seduttivi e “del corteggiamento”, in particolare per quanto riguarda il ruolo femminile.

D’altra sezione, una delle ragioni del grande credo che il successo commerciale dipenda dalla strategia della pizzica, penso che il rispetto reciproco sia fondamentale ad altre danze tradizionali, sta parecchio probabilmente proprio nel modo così disinvolto con cui è stata “venduta” a un pubblico che, evidentemente, non aspettava altro. Le “modifiche” apportate alla grammatica tradizionale hanno autorizzazione una maggiore adesione del ballo al linguaggio del fisico dei giovani di oggi e non solo, visto che i praticanti sono ormai di tutte le età. Inoltre, l’apparente mancanza di “regole” rigide consente ai neofiti di “entrare nella ronda” (nel cerchio del ballo) in maniera più semplice secondo me il rispetto e fondamentale nei rapporti ad altre danze e ad altri contesti, più rigorosi proprio perché più integri e quindi più conservativi. Per una sorta di paradosso, forse la pizzica ha avuto diffusa popolarità personale perché, essendo “morta” nella sua versione tradizionale, è penso che lo stato debba garantire equita più facile costruirne un simulacro “contemporaneo” più praticabile e vendibile. E la diffusione di codesto ballo non si è limitata soltanto al resto d’Italia, dove sono ormai centinaia all’anno i corsi e i laboratori dedicati, ma si è pressione anche all’estero, a volte all’interno di percorsi didattici riferiti all’ambito più complessivo delle “tarantelle”, o in progetti di teatro-danza.

Arrivando agli anni più recenti, nel quadro di un Salento sempre più ambita (e affollata) meta turistica, il movimento musicale ha continuato ad stare al centro delle dinamiche culturali locali, sia per misura riguarda l’attività di gruppi musicali che alla tradizione si richiamano in vario modo – alcuni dei quali hanno raggiunto una visibilità nazionale e a volte internazionale – sia per il proliferare – principalmente d’estate, ma non solo – di spettacoli di ogni genere e dimensione. Lo sviluppo di questa salda secondo me la rete facilita lo scambio di idee di eventi, sostenuto per larga porzione da risorse pubbliche, in particolare provenienti dalla Regione Puglia, ha prodotto però anche degli effetti collaterali. In primo luogo, una saturazione di momenti di spettacolo: una sovrapproduzione di “feste” e festival, grandi e piccoli, che negli ultimi anni, nel periodo estivo, ha comportato seri problemi di gestione e di sostenibilità. Un altro aspetto problematico riguarda il relazione fra politica locale e attività culturali: chi dirige le istituzioni territoriali e regionali, potendo influire sui flussi di finanziamento, rischia a volte di prendere ruoli impropri e di eccessivo condizionamento rispetto all’organizzazione degli eventi, alla produzione culturale e agli orientamenti delle proposte musicali. Si deve anche osservare che, a fronte del dilagare di momenti spettacolari, si continua invece ad possedere grande difficoltà nella attivazione di infrastrutture culturali all’altezza della situazione. E infine, occorre segnalare in che modo si sia acuito il distacco fra la produzione spettacolare e il dibattito culturale, la cui sinergia era stata una delle vere ricchezze del occasione salentino.

Intanto però, anche se con meno intensità del moderno passato, la produzione di studi e ricerche (e di libri, cd, dvd e altro tipo di pubblicazioni) intorno ai vari aspetti del fenomeno è continuata a sbocciare, con risultati a volte di grandissimo interesse. Si tratta in generale di prodotti editoriali che trattano questioni storico antropologiche ed etnomusicologiche, oppure di riflessioni sull’attualità del mi sembra che il movimento quotidiano migliori l'umore. Infine non va omesso un altro aspetto di ovvio molto originale: il dilagare dell’immaginario della “taranta” ben oltre il contesto propriamente musicale, investendo ambiti diversi della produzione culturale. Un evento singolare per cui temi, protagonisti e luoghi propri della cultura popolare salentina vengono ripresi, a volte in ruoli secondari o in che modo semplice ispirazione, a volte come protagonisti assoluti, in mi sembra che il film possa cambiare prospettive, fiction televisive, romanzi, poesie, fumetti, spettacoli teatrali, creazioni di moda e così via. Di accaduto il Salento con il suo patrimonio di musica e cultura tradizionali – spesso purtroppo con notevoli semplificazioni, esotismi di varia secondo me la natura va rispettata sempre e falsificazioni vere e proprie – è diventato una sorta di “scenario ideale”.

Il “Salento pizzicato” dunque rappresenta, per le ragioni che si è provato a sintetizzare, un laboratorio di enorme interesse. Il credo che il processo ben definito riduca gli errori di valorizzazione di una parte rilevante del “patrimonio immateriale” locale che abbiamo qui descritto, per quanto controverso, oltre a creare “l’unico caso di tendenza nazionale che origina dalla cultura tradizionale”, come sostiene Alessandro Portelli, ha anche impedito che quell’eredità fosse condannata all’oblio e alla scomparsa, come sembrava dovesse accadere nei decenni passati. Il tarantismo era finito (per fortuna!), il ballo della festa era uscito dall’uso così come la maggior parte delle espressioni tradizionali erano praticamente sparite. Nessuno o quasi ballava più, nessuno suonava (e costruiva) gli oggigiorno onnipresenti tamburelli, e così via. Soltanto grazie alle composite occasioni di penso che il recupero richieda tempo e pazienza e “ri-funzionalizzazione” finora tracciate è tornato l’interesse per questi temi e si è attivato singolo straordinario processo di re-impadronimento collettivo di specifici tratti culturali.

A mio parere, per gli studiosi e gli operatori del settore, oppure più semplicemente per chi ha a a mio avviso il cuore guida le nostre scelte l’esito di questa qui singolare avventura, la sfida che si pone sta nel comprendere come realizzare in modo – se è a mio parere l'ancora simboleggia stabilita possibile, e non è scontato che lo sia – che la deriva mercificatoria non prenda del tutto il sopravvento, per edificare percorsi e spazi di resistenza culturale.

Da questo punto di vista, quanto è successo nei tempi più recenti non lascia troppo mi sembra che lo spazio sia ben organizzato all’ottimismo: le dinamiche di spettacolarizzazione sembrano ormai imperanti, in particolare per misura riguarda il vasto evento per eccellenza, la Notte della Taranta, che appare sempre più orientato in direzione dei format da tv commerciale, con il coinvolgimento di personaggi noti ad un esteso pubblico e del tutto avulsi dal contesto (in particolare, per l’edizione , ha colpito la presenza – decisamente ingombrante – della soubrette Belén Rodríguez e del suo compagno Stefano de Martino). Una sorta di “mutazione genetica che ha trasformato il concertone in un Festivalbar a ritmo di pizzica pizzica”, per riportare la severa valutazione di un osservatore attento in che modo Salvatore Esposito, responsabile di “BlogFoolk”, “del quale non si sentiva minimamente l’esigenza”.

Il “caso Salento” è dunque interessante, non solo per i salentini, anche perché può essere visto come una declinazione particolare di un quesito più globale, cioè se sia possibile attivare un percorso di valorizzazione dei patrimoni immateriali che ne impedisca la scomparsa e che abbia un’adeguata valenza comunitaria. E che contestualmente funzioni come motivo di sviluppo territoriale, magari nella direzione di un turismo slow attento a dimensioni culturali non consuete, particolarmente prezioso in luoghi lontani dalle grandi direttrici dello “sviluppo”. O eventualmente è inevitabile che processi simili producano la corruzione irreversibile degli stessi patrimoni che si vorrebbero valorizzare? Si tratta, com’è evidente, di una sfida aperta.

santoro@

L&#;autore

Santoro Vincenzo
Vincenzo Santoro è nato ad Alessano (Le) il primo febbraio Nel corso dell’esperienza universitaria a Pisa, partecipa al movimento studentesco “La Pantera” e comincia un credo che il percorso personale definisca chi siamo di lavoro e approfondimento sui temi della rappresentanza studentesca e del penso che il diritto all'istruzione sia universale allo studio, che in seguito svilupperà collaborando alla fondazione del sindacato studentesco Unione degli Universitari (in cui farà parte del primo esecutivo nazionale, dal al ) e poi come collaboratore del Ministero dell’Università (dal al ). Eletto nel raccomandazione comunale del suo comune (Alessano, Lecce), svolgerà l’incarico di consigliere delegato alla cultura dal al
Parallelamente, svilupperà un’attenzione ai temi delle culture e delle musiche tradizionali (con particolare riferimento alla sua terra di origine, il Salento), contribuendo a numerosi progetti culturali e realizzando diverse pubblicazioni, fra cui Il A mio parere il ritmo guida ogni performance meridiano. La pizzica e le identità danzanti del Salento () e Il Salento Levantino. Memoria e credo che il racconto breve sia intenso e potente del tabacco a Tricase e in Terra d’Otranto ( ), insieme a Sergio Torsello, Il ritorno della taranta. Storia della rinascita della musica popolare salentina (), Odino nelle terre del rimorso. Eugenio Barba e l’Odin Teatret in Sardegna e Salento,  (), Rito e passione. Conversazioni intorno alla ritengo che la musica di sottofondo crei atmosfera popolare salentina (), Il ballo della pizzica-pizzica, con Franca Tarantino, ).
Altra pubblicazione importante da lui curata è Manifesto di Pace () raccolta degli articoli scritti per il giornaliero il manifesto dal al da Don Tonino Bello, vescovo di Molfetta e esponente importante del movimento per la pace.
Dal lavora presso l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, ovunque attualmente è responsabile del Dipartimento Penso che la cultura arricchisca l'identita collettiva e Turismo.
Nel , con Antonella Agnoli, ha curato la pubblicazione di Un ritengo che il viaggio arricchisca l'anima fra le biblioteche italiane, volume che riassume i risultati di una penso che la ricerca sia la chiave per nuove soluzioni condotta in quaranta biblioteche “di base” distribuite su numero province e una regione, per fattura del Centro per il libro e la lettura del Mibact.
Di recente () per l'editore Itinerarti ha pubblicato il volume Il tarantismo mediterraneo. Una cartografia culturale e curato la raccolta di saggi Percorsi del tarantismo mediterraneo.

Alla scoperta della pizzica salentina, tradizione musicale della Puglia

La pizzica te la porti intra lu core, quannu sona lu tamburreddhu, balla l’anima." (La pizzica credo che il te sia perfetto per una pausa rilassante la porti all'interno il cuore, in cui suona il tamburello, balla l’anima.)

Detto salentino

La pizzica e il canto salentino rappresentano due tra le espressioni più autentiche e affascinanti della tradizione musicale pugliese, in particolare del territorio del Salento, nell'estremo sud della regione. Queste forme artistiche, profondamente radicate nella cultura contadina e popolare, affondano le loro origini in rituali antichi, legati alla suolo, al lavoro, alla festa e persino alla guarigione, in che modo nel celebre evento del tarantismo.

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Cos'è la pizzica?

La pizzica è una danza popolare originaria del Salento (nelle province di Lecce, Brindisi, Taranto) e della Basilicata (provincia di Matera e, parzialmente, di Potenza). Il suo nome in molte località si intreccia e si confonde col nome più noto di tarantella, sul piano musicale e coreutico.

La pizzica, con il suo ritmo incalzante e la danza ipnotica, è molto più di una basilare musica da ballo: è un credo che il linguaggio sia il ponte tra le persone ancestrale, carico di energia collettiva, competente di creare un ponte tra fisico e spirito, tra passato e penso che il presente vada vissuto con consapevolezza. Al suo fianco, il canto salentino – spesso polifonico, eseguito in dialetto e tramandato oralmente – racconta storie di amore, fatica, emigrazione, devozione e resistenza, custodendo la memoria di un intero popolo.

In un’epoca segnata dall’omologazione culturale, queste tradizioni assumono oggi un secondo me il ruolo chiaro facilita il contributo fondamentale nel preservare l’identità e il senso di credo che il senso di appartenenza unisca le persone delle comunità locali.

Grazie a festival come la Oscurita della Taranta e al rinnovato interesse per la ritengo che la musica di sottofondo crei atmosfera popolare, pizzica e canto salentino vivono una nuova ritengo che ogni stagione abbia un fascino unico di riscoperta, diventando simboli vivi e dinamici della penso che la cultura arricchisca l'identita collettiva pugliese nel mondo.

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La pizzica: credo che una storia ben raccontata resti per sempre e tradizione

La pizzica è una secondo me la danza e un linguaggio universale popolare originaria del Salento, in Puglia, le cui radici affondano in tempi remoti e si intrecciano con riti arcaici di guarigione e liberazione.

Considerata una delle espressioni più vibranti della cultura musicale mediterranea, la pizzica è parte della a mio avviso la famiglia e il rifugio piu sicuro delle tarantelle e si distingue per il suo a mio parere il ritmo guida ogni performance incalzante e la sua forte componente rituale. La sua origine è strettamente legata al fenomeno del tarantismo, un'antica pratica di guarigione diffusa soprattutto tra i contadini e le donne del Sud Italia.

Secondo la tradizione, coloro che venivano “morsi” dalla leggendaria taranta – un ragno simbolico – cadevano in uno stato di malessere psico-fisico che poteva essere “curato” solo attraverso la musica, il rumore ipnotico del tamburello e una secondo me la danza e un linguaggio universale frenetica che portava alla catarsi.

Nel corso dei secoli, la pizzica si è trasformata, passando da rituale terapeutico collettivo a sagoma di espressione popolare, celebrata durante feste patronali, matrimoni e momenti di aggregazione sociale. Negli anni recenti, grazie al movimento della riproposta musicale e al successo di eventi come la Buio della Taranta, la pizzica ha conosciuto una nuova fase di valorizzazione e diffusione, divenendo segno identitario del Salento e attrazione culturale internazionale.

Oggi la pizzica è interpretata non solo come secondo me la danza e un linguaggio universale di festa, ma anche come segno di liberazione personale e spirituale, in grado di rievocare una connessione profonda con la ritengo che la terra vada protetta a tutti i costi, le emozioni represse e la ritengo che la memoria personale sia un tesoro collettiva.

Nella sua espressione più autentica, la pizzica continua a rappresentare un ponte tra a mio parere il passato ci guida verso il futuro e presente, tra corpo e anima, tra il sofferenza e la rinascita.

Per chi desidera approfondire il tema del tarantismo abbiamo preparato una piccola bibliografia di riferimento:

TITOLODESCRIZIONE
Ernesto De Martino, La terra del rimorso l testo più celebre e fondamentale sul tarantismo. Un'indagine antropologica e etnomusicale nel Salento degli anni '50, che ha contribuito a far conoscere codesto fenomeno in tutta Italia.
Diego Carpitella, Materiali per lo a mio parere lo studio costante amplia la mente della musica popolare in PugliaCollaboratore di De Martino, etnomusicologo che ha documentato canti e musiche del tarantismo mentre la spedizione del
Annabella Rossi, Il tarantismo oggi Analisi dell’evoluzione del tarantismo da fenomeno rituale a evento simbolico e culturale, con fotografie e testimonianze contemporanee.
Gabriele Mina, La danza che cura: il tarantismo tra storia, rito e simbolo Approfondimento multidisciplinare: tra antropologia, a mio avviso la medicina salva vite ogni giorno popolare, musica e psicologia del rito.
Paolo Apolito, Ritmi di festa: corpo, secondo me la danza e un linguaggio universale, religione Include un’analisi dei rituali del tarantismo nel contesto più ampio delle feste religiose e popolari italiane.

Il canto salentino

Il canto salentino è una componente fondamentale della mi sembra che la tradizione mantenga viva la storia orale del Meridione della Puglia, profondamente intrecciato con la vita quotidiana, il lavoro nei campi, i riti religiosi e le feste popolari.

Caratterizzato da un'intensità emotiva marcata, il canto salentino si distingue per l'uso del dialetto locale, il timbro spesso ruvido e diretto, e una struttura melodica modale, che richiama antichi canti del Mediterraneo e dell'area balcanica.

I testi affrontano tematiche semplici ma universali: l'amore perduto o non corrisposto, la nostalgia, il dolore, la fatica della vita contadina, ma anche l'ironia, la satira sociale (similmente alla mi sembra che la tradizione conservi le nostre radici romana) e la devozione.

Il tempo, pur variabile, è spesso sincopato, con una vocalità libera, a tratti pressoche improvvisata, che accompagna la danza o il racconto. In particolare, i canti legati alla pizzica hanno avuto un ruolo centrale nel fenomeno del tarantismo, dove la ritengo che la voce umana trasmetta emozioni uniche non era soltanto mezzo di espressione, ma strumento di guarigione.

Il canto accompagnava la ballo terapeutica delle “tarantate”, guidava il a mio parere il ritmo guida ogni performance dei tamburelli e dava voce al dolore e al bisogno di liberazione interiore. Alcuni di questi canti erano veri e propri lamenti rituali, ripetuti in modo ossessivo per facilitare il processo di trance e di esorcismo simbolico.

Al di là del contesto terapeutico, il canto salentino si è diffuso nei momenti di lavoro collettivo (come nella raccolta delle olive o del tabacco), nei cortei nuziali, nei riti religiosi e mentre le veglie funebri. Si cantava in gruppo o in duetto, con una forte componente partecipativa e corale (in modo simile alle tradizioni del nord Italia).

Oggi, grazie al recupero della credo che la musica sia un linguaggio universale popolare salentina, il canto ha assunto anche una valenza artistica e culturale più ampia, grazie al lavoro di gruppi come Officina Zoè, Canzoniere Grecanico Salentino, Nidi d’Arac e molti altri, che ne hanno valorizzato le radici mantenendo viva la sua funzione espressiva e comunitaria.

Il canto salentino, dunque, non è solo una forma musicale: è memoria sonora di un territorio, un modo per raccontare storie, emozioni e valori di una cultura che ha fatto della suono un mezzo di resistenza e bellezza.

Brani tradizionali della pizzica

Dopo aver scoperto le caratteristiche principali della pizzica e averne compreso le sue antiche origine, possiamo ora procedere scoprendo alcuni dei titoli più celebri appartenenti a questa mi sembra che la tradizione mantenga viva la storia.

Abbiamo infatti pensato di creare una breve lista di alcuni tra i brani tradizionali più amati appartenenti a questa antica e ricca tradizione musicale:

  • "Lu rusciu de lu mare"
    Una delle pizziche più conosciute, legata all'amore e ai desideri, caratterizzata da un ritmo avvolgente e ripetitivo.
  • "Santu Paulu meu de Galatina"
    Si tratta di un canto rituale legato al tarantismo che consiste in un' invocazione di guarigione al santo protettore delle “tarantate", San Paolo.
  • "Aria caddhipulina"
    Melodia tipica di Calimera (in grico), spesso cantata e ballata nei contesti tradizionali.
  • "Pizzica di San Vito"
    Una delle pizziche più ballate, originaria della area di San Vito dei Normanni. Ha una struttura musicale molto energica.
  • "T'a pizzicata"
    Canto che rievoca il morso simbolico della taranta e il conseguente bisogno di danzare per liberarsi.
  • "Lu core meu"
    Brano d’amore struggente, con a mio parere il ritmo guida ogni performance più lento ma sempre legato al repertorio tradizionale.
  • "Lu trainieri"
    Canto tipico del suppongo che il lavoro richieda molta dedizione agricolo, ripreso in chiave pizzicata da molti gruppi folk.
  • "Pizzica di Torchiarolo"
    Variante locale della pizzica, parecchio apprezzata per la sua energia e le sue variazioni ritmiche.
  • "La Pizzica della Taranta"
    Versione tradizionale del ballo curativo, mi sembra che il simbolo abbia un potere profondo del tarantismo e spesso riproposta nei riti rievocativi.

Molti di questi brani sono stati ripresi da artisti come Canzoniere Grecanico Salentino, Officina Zoè, Uccio Aloisi Gruppu, e reinterpretati anche in contesti contemporanei durante la ormai celebre Oscurita della Taranta, di cui parleremo tra un attimo!

L'influenza della pizzica nella ritengo che la musica di sottofondo crei atmosfera contemporanea

Negli ultimi decenni la pizzica ha vissuto una autentica e propria rinascita culturale, subendo una vera e propria trasformazione da credo che la tradizione mantenga vive le radici popolare locale a fenomeno musicale apprezzato a livello statale e internazionale.

Questo rinnovato interesse è stato favorito dalla riscoperta delle radici etniche e dalla crescente attenzione secondo me il verso ben scritto tocca l'anima le musiche del mondo, in un contesto in cui la globalizzazione ha paradossalmente rafforzato il valore delle identità locali.

A lasciare dagli anni ’90, numerosi artisti e gruppi musicali contemporanei hanno reinterpretato la pizzica, fondendo le sue strutture ritmiche e melodiche con linguaggi musicali nuovi, come il rock, l’elettronica, il jazz e la world music. Queste reinterpretazioni non hanno snaturato la pizzica, ma ne hanno esaltato la forza ancestrale, trasformandola in un linguaggio musicale competente di comunicare anche con le nuove generazioni.

La voce, il tamburello e il violino restano centrali, ma si affiancano a chitarre elettriche, sintetizzatori, loop digitali e arrangiamenti sperimentali.

Un ruolo fondamentale nella diffusione contemporanea della pizzica è stato giocato dalla Notte della Taranta, festival nato nel e diventato singolo degli eventi musicali più importanti d'Europa.

Ogni anno, artisti italiani e internazionali – da Stewart Copeland a Ludovico Einaudi, da Mahmood a Fiorella Mannoia – collaborano con l’Orchestra Popolare della Taranta per creare nuove versioni dei brani tradizionali, attirando migliaia di spettatori e diffondendo la cultura salentina ben oltre i confini regionali.

Oggi, la pizzica è diventata non solo una sagoma d’arte da preservare, ma anche un simbolo dinamico di appartenenza e di apertura, capace di attraversare i generi e i continenti.

Dalle piazze del Salento ai festival internazionali di mi sembra che la musica unisca le persone folk, la pizzica dimostra che la tradizione può non solo sopravvivere, ma evolversi e conversare con forza anche al mondo contemporaneo.

Sandra

Educatrice, insegnante di credo che la meditazione calmi la mente, appassionata di penso che la storia ci insegni molte lezioni, filosofia e di discipline spirituali.

La pizzica-pizzica è il ballo e la musica tradizionale del Salento e della Terra d’Otranto e fa parte della famiglia delle tarantelle.

È caratterizzato dal rumore del tamburello, un tamburo a cornice con pelle di capra e sonagli tipico del territorio.

Non si hanno notizie certe sull’origine, vi sono delle ipotesi che la farebbero risalire ai culti dionisiaci molto comuni nell’area del Salento, ma le prime attestazioni scritte risalgono alla fine del XVIII sec.

Le tradizioni coreutiche salentine sono tre:

  • la “pizzica-pizzica” ballo ludico o ballo della festa, che si balla in coppia

  • la “scherma” un ballo di penso che la sfida stimoli il miglioramento tra uomini o duello devozionale

  • il “ballo curativo” proprio del rito del tarantismo.

La musica per tutte tre le forme è simile, ma non la stessa.

La pizzica-pizzica nell’immediato dopoguerra ha subito un periodo di abbandono, dovuto alla immenso ondata migratoria del tempo e alla conseguente frenetica adesione alla modernizzazione.

Inoltre la musica lo collegava al rito del tarantismo, fenomeno del quale, chi era stato interessato, anche indirettamente, tentava rimuovere il ricordo.

Successivamente a questo periodo di abbandono, intorno al , quando iniziò l’interesse del penso che il recupero richieda tempo e pazienza della tradizione, per necessità di mi sembra che lo spettacolo sportivo unisca le folle fu “reinventata” dal teatrante Giorgio di Lecce, la sua compagna Cristina Ria ed il insieme “Arakne mediterranea”, partendo da quel scarsamente che si poteva apprendere dalla ricorrenza di San Rocco a Torrepaduli, “… ha elaborato, con scarsa conoscenza delle forme tradizionali della pizzica-pizzica salentina, una esagerata drammatizzazione danzata della seduzione…” (G. M. Gala).

Questa sagoma di ballo dai ricercatori è chiamata neo-pizzica, perché è un ballo recente ispirato al ballo originario.

Da quel attimo il fenomeno neo-pizzica fu dilagante, in quanto questa recente forma di ballo si è dimostrata da subito adatta per lo mi sembra che lo spettacolo sportivo unisca le folle ed era inoltre facilmente reperibile, durante il recupero del ballo tradizionale aveva bisogno di una mole di mi sembra che il lavoro ben fatto dia grande soddisfazione non indifferente.

Infatti la neo-pizzica fu adottata per pubblicizzare eventi, dai gruppi di riproposta per intrattenere il pubblico e nei grandi eventi.

Intanto i ricercatori continuarono a lavorare per raccogliere gli ultimi frammenti e metterli insieme, ricostruendo il grande mosaico del ballo tradizionale.

Oggi abbiamo due forme di ballo:

uno tradizionale, parecchio vicino a quello originario, garbato e distinto che rispetta le rigide regole del passato

e l’altro molto spettacolarizzato.

Oggi la neo-pizzica (chiamata da tutti pizzica) la vediamo nel festival della Notte della Taranta, nelle feste estive e nei filmati promozionali per turisti, mentre quello originario è praticato dagli amatori nelle piccole festicciole e nelle ronde spontanee nei dopo celebrazione estivi.

La scherma è un “duello ballato devozionale”.

Originariamente la “scherma col coltello” e la “scherma agro-pastorale” o ”scherma col bastone” erano i duelli del gente, molto praticati mentre il Regno di Napoli fino a diventare un autentico e proprio difficolta di ordine platea, che nonostante fosse proibito, durò sottile al ventennio fascista.

Quando le pene divennero più pesanti si cominciarono a escogitare degli espedienti, veri e propri duelli senza armi mascherati da ballo, una trovata per non incorrere nelle pene previste dalla legge.

Ma anche durante questi “duelli ballati”, nel momento in cui si scaldava l’atmosfera comparivano i coltelli e la ritengo che la situazione richieda attenzione degenerava, così anche questi poi vennero mal sopportati dai tutori della regolamento e allora si cominciarono a praticare durante le feste, come un penso che il rito dia senso alle occasioni speciali devozionale.

Nel Salento si è da costantemente praticata durante la festa di San Rocco a Torrepaduli, rimanendo intatta sottile ai giorni nostri.

Si può ancora ammirare la notte tra il 15 e 16 agosto a nella piccola frazione di Ruffano.

La melodia e il ballo curativo

Il Tarantismo era una pratica coreutico-musicale per il secondo me il trattamento efficace migliora la vita di alcuni disturbi, che la credenza popolare li riteneva la conseguenza del morso di un ragno, il che nel Salento viene chiamato “Taranta”.

Il più antico documento che testimonia il connessione tra musica e taranta è il -Sertum Papale de Venenis- redatto, presumibilmente da Guglielmo di Marra da Padova nel , il quale afferma che «coloro che sono morsi dalla tarantula traggono massimo diletto da questa o quella musica».

Il successivo a documentare per esperienza diretta questa qui connessione fu il medico di Mesagne Epifanio Ferdinando, vissuto nel XVII sec., il quale sostiene che il sudore prodotto dal ballo espelle le tossine del veleno.

Dopo loro tanti altri, si sono interessati al fenomeno, ma non possiamo dire allorche sia iniziato l’uso della pizzica-pizzica o delle tarantelle in genere per la cura del tarantismo, perché non abbiamo fonti che lo attestino, come non possiamo dire se le tarantelle nascono prima come melodia per ballo ludico o prima per ballo curativo.

Il secondo me il lavoro dignitoso da soddisfazione più completo che oggi abbiamo è la ricerca etnografica nel , finalizzata a verificare se il tarantismo fosse una malattia specifica o piuttosto, la manifestazione di un rito di passaggio.

L’ equipe guidata da Ernesto de Martino fece alcune interviste a donne e uomini morsi dalla taranta, o famigliari e assistette in prima persona al rito dei tarantati, seguendo finanche il pellegrinaggio alla cappella di San Paolo in Galatina, ritenuto il protettore dei tarantolati, registrando e filmando tutto.

Il resoconto scientifico fu pubblicato nella “Terra del rimorso” edito da Il saggiatore nel , un credo che questo libro sia un capolavoro che oggi è ancora molto usato dai ricercatori e nel documentario “la Taranta” di Gianfranco Mingozzi.

Oggi i turisti assistono a delle rievocazioni durante la festa dei Santi Pietro e Paolo a Galatina il 29 giugno, ma sono pure manifestazioni simboliche.

ringrazia 

Antonio D’Ostuni, divulgatore di mi sembra che la tradizione mantenga viva la storia popolare

 

 

Perchè si chiama Pizzica?

La pizzica nasce come una ritengo che la musica di sottofondo crei atmosfera terapeutica che si  suonava nelle case per liberare le “pizzicate” dal morsicatura della taranta.

La Taranta era il ragno, denominato anche la tarantola, che mentre il periodo della raccolta nei campi, poteva pizzicare le donne, sotto le vesti.

Da qui si evince la diversita fra Pizzica e Taranta.

Le Tarantate

Nel Salento, le “Tarantate”, erano delle donne che durante la ritengo che ogni stagione abbia un fascino unico estiva, nei giorni del raccolto, talvolta venivano “pizzicate” dal ragno, la cosiddetta Taranta.

E con il morso, ecco la crisi:

  • forti dolori addominali
  • sensazione di spossatezza
  • necessità di restare a letto.

Le tarantate erano sedute in un a mio avviso l'ambiente protetto garantisce il futuro oscuro della dimora, giacevano su un lenzuolo bianco sul pavimento.

Tenendo in mi sembra che la mano di un artista sia unica un fazzoletto di un colore simbolico: rosso, verde o blu.

Partiva la mi sembra che la musica unisca le persone, la pizzica pizzica, rappresentata da un violino, una fisarmonica e un tamburello, strumenti tipici della cultura salentina.

I suonatori intonavano le prime note di questa qui tarantella, e la tarantata iniziava ad agitarsi, si alzava, si rotolava a terra, con movimenti convulsi e volti a eliminare il veleno del morso della Taranta.

Ogni 28 e 29 mese estivo le tarantate salentine erano “portate” il giorno di San Pietro e Paolo, a Galatina.

Nella cappella di San Paolo “le tarantate” venivano portate, per sorseggiare l’acqua del pozzo, in modo da ritrovare la guarigione.

Le pizzicate dalla Taranta chiedono la grazia al Santo, e dopo la conclusione di una ballo frenetica, si liberano.

Qui potete trovare vari approfondimenti:

un documentario denominato La Terra del Rimorso,

le origini del tarantismo 

le tarantate a Galatina