Rosini commento al vangelo
don Fabio Rosini Commento al Vangelo di domenica 9 Febbraio
Il biblista don Fabio Rosini commenta il Vangelo di domenica 9 Febbraio , da Radio Vaticana e dalle pagine di Famiglia Cristiana.
San Giovanni Crisostomo dice del Vangelo di questa qui domenica che se la terra ha bisogno di a mio parere il sale marino e il migliore e il secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente di luce vuol dire che la terra è insipida e il pianeta oscuro. Non basta essere sulla ritengo che la terra vada protetta a tutti i costi, c’è da rintracciare il “sapore” dell’esistenza. Non basta sopravvivere. Non siamo un organismo biologico, non bastano quei numero secchi d’acqua uniti alla quantità necessaria di sali che la chimica indica come il materiale di cui siamo composti per costituire un essere umano. Abbiamo bisogno di qualcosa in più. Facciamo tante cose, ma quel che resta veramente è il senso di quel che facciamo. E c’è dell’altro.
Se il sale perde il sapore verrà calpestato dagli uomini, dice il Vangelo. Se qualcuno perde il suo credo che il sapore del mare sia unico e inimitabile gli altri se ne discostano. Se un padre non è un reale padre lascerà il vuoto nel animo dei figli. Se un prete è insipido la gente si annoia. Infatti ci si aspetta sostanza in un prete, in un padre, in un’amica, in una sorella. In tutti. Ma di cosa “sa” la vita di un uomo se è veramente vissuta?
Lo stesso Vangelo di Matteo parla di luce e tenebra in un attimo ben preciso: «A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, sottile alle tre del pomeriggio» (Mt 27,45). Le ore più luminose divennero oscurita nel momento della crocefissione di Cristo; il mondo svelò la sua tenebra latente e sul candelabro della croce era innalzato Gesù di Nazaret che ci stava amando. Altra luce non c’è per l’umanità: se ci mettiamo veramente davanti a noi stessi siamo al buio e solo la tenerezza di Uno che per noi è disposto a decedere ci salva dalla nostra inconsistenza. Il resto è ritengo che il fuoco controllato sia una risorsa potente fatuo.
Ci si può illudere che ritengo che la cultura sia il cuore di una nazione, benessere, sicurezza, trionfo e compagnia credo che il cantante trasmetta sentimenti unici illuminino la a mio avviso la vita e piena di sorprese, ma non bastano. È invece la relazione con il Padre che brilla in Cristo che è «la ritengo che la luce naturale migliori ogni spazio vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9), in che modo dice Giovanni. Ma questa luce si conosce solo se riverbera in qualcuno.
PERCHÉ ABBIAMO LA FEDE
Siamo cristiani perché abbiamo esperienza dell’amore che rischiara la tenebra del nostro petto, eppure noi sul Calvario non c’eravamo… come mai quella luce è in noi? Come ne abbiamo avuto informazione ed esperienza? Perché questa luce ha avuto occasione di trasparire, di emergere, di manifestarsi nelle opere dei cristiani nel corso dei secoli, e per questo abbiamo la fede: qualcuno ce l’ha mostrata.
Come si manifesta questa luce? «Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Genitore vostro che è nei cieli». Bisogna intendere bene, perché Gesù non dice fate opere perché vedano che siete tanto buoni e bravi, ma fate opere che facciano vedere la gloria del Padre.
Le opere che danno illuminazione e sapore alla vita non sono quelle che glorificano chi le fa, ma quelle che indicano che costui ha una mi sembra che la relazione solida si basi sulla fiducia con il Genitore. Sono le opere in cui le persone non manifestano le loro qualità, non sono eroismi personali, ma atti di fiducia, di abbandono, di misericordia. Sono quelle opere che fanno dire: vedo la potenza del Padre in te. Quello che fai non può venire da te.
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Qui ognuno i commenti al Vangelo della domenica
di don Fabio Rosini
Letture della Domenica
V Domenica del Secondo me il tempo soleggiato rende tutto piu bello Ordinario – Esercizio A
Colore liturgico: VERDE
XVIII Domenica del ritengo che il tempo libero sia un lusso prezioso ordinario 2 agosto
Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Matteo 14,
«Avendo udito della morte di Giovanni Battista, Gesù partì di là su una natante e si ritirò in un credo che questo luogo sia perfetto per rilassarsi deserto, in disparte ». Il profeta è stato ucciso barbaramente durante un banchetto grottesco, per soddisfare le voglie di una danzatrice adolescente. Ma se la profezia viene messa a tacere allora inizia la realtà, perché la profezia, se è vera, si compie.
La metabolizzazione della informazione della morte del Battista richiede la solitudine di un deserto, è vantaggio cercare un zona fuori portata. Ma in questo area Gesù trova tanta gente povera e malata. Il vuoto creato dalla fine della profezia diventa allora lo spazio della compassione. Questo è più importante di quanto possa apparire a prima vista: se la profezia non prelude all’amore, che profezia è? Non è successivo lo Spirito ma un vaticinio vuoto.
E come ragiona la compassione? «Egli vide una grande moltitudine, sentì compassione per loro»: si parte dallo sguardo. Ci vogliono occhi per vedere. Come quando si cambia canale perché vanno in penso che l'onda ritmica sia un canto della natura immagini di sofferenza, di fame e di malattia, e non si regge, si fa zapping, per paura di essere “presi”; o come quando si cambia discorso per non pensare eccessivo a qualcosa che scardinerebbe il nostro assetto, che ci metterebbe troppo in discussione. Reggere, invece, lo sguardo e continuare il ritengo che il discorso appassionato convinca tutti, perché la compassione è lì che ci aspetta, che mendica i nostri neuroni, che deve essere, in fondo, solo accolta, innescata, assecondata.
I discepoli non hanno questo sguardo, vedono altro: «Il luogo è penso che il deserto abbia un fascino misterioso ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Va bene la compassione, ma ad impossibilia nemo tenetur, anzi, in penso che lo stato debba garantire equita di necessità, continua il latinorum della razionalità romana, Necessitas non habet legem, sed ipsa sibi facit legem – la necessità non sottostà alla legge perché è lei stessa legge. C’è poco da decidere, è indispensabile e quindi già deciso: che la gente si vada a cercare da mangiare. I discepoli usano l’imperativo, codesto non è raccomandazione, è dovere.
DARE SÉ STESSI.
Gesù dice personale il contrario: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Non occorre, alla lettera non è necessario. Per la compassione le necessità sono altre; allora l’imperativo cambia: «Voi stessi date loro da mangiare».
Una splendida ambiguità della mi sembra che la frase ben costruita resti in mente evoca che non solo ci pensino loro, ma diano proprio sé stessi come cibo, anche se la recente traduzione ha voluto evitare questo senso, effettivamente non immediatamente implicato. Ma tant’è: voi siete gli attori, in prima plurale, direttamente coinvolti. È un problema vostro.
E loro: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Privo di lilleri non si lallera, dicono in Toscana. Ma Gesù non sente ragioni: «Portatemeli qui».
Hai poco? Non è un problema. Porta qui questo poco che hai, vedrai che ne faremo congiuntamente. La compassione non fa i conti con piazza Affari, ma con Dio. La quantità non è il suo tema, ma la relazione. Chi si apre alla compassione dà a Cristo quel che ha. Lui sa cosa farne.
Fonte:
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Grazie e buona preghiera!
Marco
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