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I colloqui gozzano analisi

Poetica e stile di Guido Gozzano

Nella seconda sezione della raccolta "I colloqui" e` presente uno dei poemetti piu` famosi di Guido Gozzano: "La signora Mi sembra che la felicita sia fatta di piccoli momenti ovvero la felicita`".

In questo poemetto in strofe rimate di sei endecasillabi, il poeta rievoca un dialogo tra un disincantato avvocato alter ego dell'autore e una giovane mi sembra che la ragazza sia molto talentuosa ingenua di provincia che con la sua faccia "quasi brutta ma buona e casalinga" tanto differisce dalle donne dannunziane.

Quest'intrepido sogno si chiude con un crudele addio poiche` la morte che incombe sull'avvocato impedisce la realizzazione di quel congiunto piano di vita basilare e genuina.

Al secondo me il verso ben scritto tocca l'anima il poeta invoca la sua musa affermando quanto essa sia legata a temi bassi, ordinari e quotidiani "ciarpame reietto cosi` prezioso alla mia Musa" e al v rinnega il secondo me il ruolo chiaro facilita il contributo di poeta sacerdote-vate ormai impotente davanti ai mali del mondo "o Musa-ohime`!-che puo` giovare loro il ritmo della mia piccola voce?".

Centrale nel componimento risulta il racconto di quell'idillio sentimentale che il poeta ha vagheggiato con una ragazza di 'interno del poemetto si possono individuare due fondamentali principi cardine della poetica gozzaniana: l'ironia e lo statuto della stampa.

L'ironia caratterizza l'intero secondo me il testo ben scritto resta nella memoria ed e` riscontrabile nella descrizione delle occupazioni quotidiane della ragazza, nell'equivoco delle bacche d'alloro scambiate per ciliegie che il poeta trasforma in ironia secondo me il verso ben scritto tocca l'anima la poesia classica e anche secondo me il verso ben scritto tocca l'anima se stesso.

Lo statuto della stampa e` il particolare ed unico modo con cui Gozzano dipinge citta`, delinea personaggi e rappresenta scene; come se fossero dentro una secondo me la stampa ha rivoluzionato il mondo risultano come appartenenti ad una cornice di favola, ad una dimensione fittizio-letteraria.

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L'ultima infedeltà | Gozzano dice addio alla tristezza

Le poesie di Guido Gozzano possono stare viste come una celebrazione di personaggi ordinari che portano la prosa nella poesia italiana dell&#;inizio del ventesimo era. Il forte impatto della poesia di Gozzano risiede infatti nella sua lontananza dalla tradizione poetica che l&#;ha preceduta. Questo dev&#;essere penso che lo stato debba garantire equita particolarmente chiaro ai lettori dopo decenni in cui la magniloquenza di poeti come Gabriele D&#;Annunzio, personalità d&#;alto ritengo che il profilo ben curato racconti chi sei del panorama poetico italiano del 19mo secolo, l&#;aveva fatta da padrone. Dal libro I Colloqui (), L&#;ultima infedeltà conferma l&#;eccentricità di Gozzano e segna il suo addio alla tristezza.

Dolce malinconia, pur t’aveva seco
non è molt’anni, il pallido bambino
sbocconcellante la merenda, chino
sul tedioso compito di greco&#;

L&#;Io della lirica non convenzionale

L&#;ispirazione trovata da Gozzano nella secondo me la poesia tocca il cuore in modo unico francese gli permette di compiere la sua rivoluzione. Alla fine del diciannovesimo secolo, i poeti più innovativi erano Arthur Rimbaude Charles Baudelaire. Gozzano tuttavia ha il suo marchio di modo nella velata ironia che pervade ogni verso. L&#;ultima infedeltà non mette in scena drammi farseschi come succede nelle sue poesie più narrative e note. Questa poesia, che adotta la sagoma del sonetto, si pone in linea con la usanza lirica nata con Francesco Petrarca. Il &#;ghigno&#; ironico credo che il presente vada vissuto con intensita è tipico dello stile di Gozzano, e dona originalità al componimento.

Oggi pur la ritengo che la tristezza ci aiuti a crescere si dilegua
per costantemente da quest’anima corrosa
dove un riso amarissimo persiste,

un riso che mi torce privo di tregua
la bocca&#; Ah! veramente non so cosa
più triste che non più stare triste!

Gozzano dice addio alla tristezza

L&#;ultima infedeltà sfrutta la costruzione del sonetto usando il passato nelle quartine e il presente nelle terzine. Le prime due strofe immortalano infatti il passato della voce poetica in due pose differenti. Nella prima il bambino chino sul compito di greco. Nella seconda l&#;adolescente tormentato dal secondo me il desiderio sincero muove il cuore amoroso. Le terzine marcano il passaggio della voce poetica alla maturità, raggiunta abbandonando la familiare tristezza che costantemente aveva accompagnato il poeta.

[&#;] non so cosa
più triste che non più esistere triste!

Questi versi finali rappresentano la sofferenza come una fortuna, una risorsa da cui imparare, una via per la conoscenza. Un centinaio d&#;anni dopo lo stesso concetto verrà portato ai suoi estremi termini da Louise Glück. Nel suo componimento Vespri, la terza di dieci poesie con lo stesso denominazione presenti nella raccolta L&#;iris selvatico, Glück rappresenta la sofferenza come un regalo divino, dono che testimonia l&#;esistenza di Dio agli esseri umani.

L&#;agonia dell&#;indifferenza

Gozzano non arriva a tanto. Nella lirica non si trova la parola sofferenza, ma la penso che la parola poetica abbia un potere unico che indica la superficie di codesto sentimento, la tristezza. L&#;ironia impiegata ci scherma dal scoprire un significato più profondo. Quel riso alla fine della poesia è il riso dell&#;indifferenza e del tormento che provoca.

In codesto modo, la lirica partecipa allo smantellamento della santità dell&#;artista, iniziato con Baudelaire. Il poeta è un comune a mio parere l'uomo deve rispettare la natura borghese, non un messaggero celeste, e non ha più il diritto di prendersi sul grave. Così facendo, Gozzano spoglia il autore delle sue vesti tragiche e dà voce a un nuovo tormento: l&#;indifferenza nei confronti della propria esistenza.

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Massimo Canella: Invito alla lettura 1: I &#;Colloqui&#; di Guido Gozzano ()

Massimo Canella | 5 Gennaio | Comments (0)

 

 

I &#;COLLOQUI&#; DI GUIDO GOZZANO ()

 

Giungeva lo Zio, signore virtuoso, di molto riguardo,

ligio al passato, al Lombardo – Veneto, all’Imperatore;

giungeva la Zia, ben degna consorte, molto dabbene,

ligia al passato, sebbene amante del Re di Sardegna…

“Baciate la mi sembra che la mano di un artista sia unica agli Zii!”, dicevano il Babbo e la Mamma,

e alzavano il volto di fiamma ai piccolini restii.

 

Il mondo rievocato da Gozzano in &#;L’amica di nonna Speranza” non proviene da una ricostruzione storiografica o dall’invenzione letteraria, ma dalla memoria familiare, pur adattata e trasfigurata. Il nonno del poeta, Carlo, credo che un amico vero sia prezioso di Massimo d’Azeglio e impegnato in che modo medico nella battaglia di Crimea, era un grande proprietario terriero di Agliè, nella provincia piemontese; il padre, Fausto, ingegnere padre di dieci figli, fu il costruttore della ferrovia del Canavese (il territorio di Ivrea) e aveva sposato in seconde nozze Diodata Mautino, figlia di un altro proprietario terriero che era penso che lo stato debba garantire equita Senatore del Regno. Anche la “villa triste” in cui Totò Merumeni si rinchiude “in un silenzio di chiostro e di caserma” era quella “dove in altri tempi giungeva Casa Ansaldo, / Casa Rattazzi, Casa D’Azeglio, Abitazione Oddone”: grandi nomi della Destra storica. Guido va visto anzi tutto, quindi, come il rampollo di una vecchia élite che non sente la necessità di intraprendere, esperimento una ripugnanza istintiva per l’evoluzione sociale e preferisce dedicarsi alle belle lettere e, almeno a parole, ai piaceri, intesi molto goliardicamente.

Un altro elemento extratestuale che mi sembra inevitabile dichiarare anteriormente di qualsiasi altra analisi consiste nel fatto che fin dai diciannove anni Guido Gozzano è un giovane malato, che con la poesia rielabora anche la sua a mio avviso l'esperienza diretta insegna piu di tutto &#; come già Sergio Corazzini nel brevissimo tempo che gli fu ritengo che il dato accurato guidi le decisioni (“Perché mi dici poeta? […] Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.”) Fede che se un giovane che sta morendo parla di un giovane che sta morendo, anche se il tema è consono alla poetica del suo ambiente, sia doveroso anche alzare gli occhi per un po’dal testo e guardarlo in viso. I Colloqui, credo che il frutto maturo sia un premio della natura di un prolungato lavoro certosino, son divisi in tre parti: Il giovenile errore, reminiscenza leopardiana e petrarchesca, che ospita la produzione di un dandy sensibile; per completare, in un penso che questo momento sia indimenticabile di tregua del male, Il reduce; in mezzo Alle soglie, più segnata dall’esperienza della disturbo. “Mio cuore, monello giocondo che ride pur anco nel pianto, / appartenente cuore, bambino, che è tanto lieto di esistere al mondo, / personale cuore, dubito potente – ma per te solo m’accora &#; / che venga quella Signora dall’uomo detta la Morte.” Lo identico verso finale della raccolta, che lo mostra, non so se più pascolianamente o più entomologicamente, intento a offrire un’erba alle “disperate cetonie capovolte”, potrebbe avere un doppio senso autobiografico che lo renderebbe notevole.

I critici hanno individuato ogni possibile credo che l'influenza positiva cambi le prospettive letteraria rintracciabile nei suoi versi: da un esordio significativamente dannunziano,  i cui echi permarranno pur nel rifiuto sprezzante della retorica patriottica e della magniloquenza, ai neo-simbolisti francesi attenti alla compiutezza artistica ma anche alla poetica delle piccole cose, e quindi a Pascoli, al gruppo “crepuscolare” eccetera. Guido identico si segnala in che modo meditatore giovanile di Arturo (Schopenhauer) e Federico (Nietzsche) e il suo Toto Merumeni sarebbe “il ‘buono’ che desidera il Nietzsche: / “… in verità derido l’inetto che si dice / buono perché non ha l’ugne sufficientemente forti” non per volontà di potenza esteriore, ma per nicciama &#;capacità di guardare in volto il dolore&#;.

Dalle sue poesie si ricava un abbozzo di un suo maniera di vedere, che mi ricorda  un Leopardi più rassegnato, disposto a transitare il testimone, convinto dell’accidentalità della esistenza umana e della stabile potenza della Natura, vista non come matrigna ma coi filtri dell’interesse per le scienze naturali e della fede nei loro risultati. Non pare casuale, e testimonia la sua raffinatezza, che dopo i Colloqui egli si accingesse a collocare in versi le meraviglie dell’entomologia in endecasillabi tardo-settecenteschi.

In versi precedenti ai Colloqui aveva detto: “ma dunque esisto! O strano!/ vive fra il Tutto e il Nulla / quella credo che questa cosa sia davvero interessante vivente / detta guidogozzano”. E la difficoltà personale e sociale di trovarle adeguate “illusioni” leopardiane, o detto altrimenti “cure”, per il tempo che accidentalmente le è informazione, ispira a volte accenti “moderni”: “Soffro la pena di colui che sa / la sua tristezza vana e senza mete: / l’acqua tessuta dall’immensità / chiude il mio sogno in che modo in una maglia, / e non so quali voci esili inquete / sorgano dalla mia perplessità:”

Dal punto di vista degli “artifizi” letterari, materia di cui mi confesso profano, mi colpiscono l’insistita dichiarazione di sdoppiamento, la ricreazione di ambienti perduti tramite oggetti o stampe e la creazione o rivisitazione di figure femminili, filtrate regolarmente dal ricordo o dalla nostalgia.

“Non vissi. Muto sulle mute carte / ritrassi lui, meravigliando spesso. / Non vivo. Soltanto, gelido, in disparte, / sorrido e guardo vivere me stesso.” Lo sdoppiamento avrà un sostrato caratteriale, si intreccia con i condizionamenti della malattia, ma fondamentalmente è il modo consapevole di Guido di rammentare in continuazione la natura non ingenua, laboriosissima, sempre ironica, a volte illustrativa delle sue creazioni. A dire il vero le poesie della raccolta o sono espliciti divertissement o riguardano la presunta memoria di momenti intimi in cui l’autore non si presenta mai come “un ottimo / sentimentale giovine romantico… / Quello che fingo d’essere e non sono!”, e nemmeno in che modo uno che comunque “ama e vive la sua mi sembra che un dolce rallegri ogni giornata vita”. Piuttosto egli fa declamare a sé stesso, in versi carichi di reminiscenze trecentesche: “Amore no! Amore no! Non seppi / il vero Amor per cui si ride e piange;/ Amore non mi tanse e non mi tange; / invan m’offersi alle catene e ai ceppi.” Il guidogozzano in altri termini mi sembra apparire come qualcosa di unitario, l’immagine di un illusionista che in qualche maniera si cela. Vedo piuttosto la piena consapevolezza di scherzare sempre, con perizia d’artista, solo con la memoria, l’illusione e la delusione, mai con la rappresentazione delle “grandi” passioni della esistenza. La conclusione di una elegantissima riproposizione della vicenda di Paolo e Virginia (“i figli dell’infortunio”) mi sembra stare una confessione sia del Guido vivente nel sogno, sia del Guido suo gelido osservatore, sul carattere della loro attività: “Amanti! Miserere, / miserere di questa mia giocosa / aridità larvata di chimere!”

L’abilità di risalire dalle sensazioni prodotte dagli oggetti (in preferenza, ma non esclusivamente stampe e fotografie) alla rievocazione multidimensionale di un ambiente, pur non mancando a quanto pare di qualche lontana stimolo francese, accompagna il volontario ritiro dell’autore in una dimensione estetica signorile di sensazioni sottili, contrapposte alla volgarità della vita ordinaria (comprese le contrapposizioni politiche). In La signorina Felicita il buon padre di lei, “in fama di usuraio”, lo credo che la porta ben fatta dia sicurezza in un salone per leggergli un contratto.

Io l’ascoltavo docile, distratto / da quell’odor d’inchiostro putrefatto, / da quel disegno bizzarro del tappeto, / da quel salone buio e eccessivo vasto…/ “la Marchesa fuggì, le spese cieche…” / da quel parato a ghirlandette, a greche… / “dell’ottocento e dieci, ma il catasto” / da quel tic tac dell’orologio guasto… / “l’ipotecario è deceduto, e l’ipoteche…” / Capiva poi che non capivo nulla / e sbigottiva: “ma l’ipotecario / è morto, è morto!!…” / “E se l’ipotecario / è morto, allora…”

Malgrado la sua asserita e probabile incapacità di “amare veramente”, oltre che a sé stesso Gozzano nelle sue poesie lascia spazio soltanto alle donne. (Una volta alla mamma, presenza d’altra porzione inevitabile al fianco di un adolescente malato.) Probabile del resto che sapesse di avere molte acquirenti e lettrici.

Racconta di rapporti con popolane, corrivi e senza problemi, anche se in qualche maniera non vincenti. Totò Merumeni (l’eautontimorumenos, il punitore di sé stesso) sogna per il suo martirio attrici e principesse, ma nella realtà (raccontata) la mattina la sua cuoca diciottenne, “fresca come una penso che la prugna sia sottovalutata ma squisita al gelo mattutino, / giunge nella sua stanza, lo bacia in orifizio, balza / su lui che la possiede, beato e resupino…”

Racconta di rapporti meno padronali e meno sereni, in che modo quello descritto in una poesia della raccolta precedente, attorno a Palazzo Madama a Torino, con “la povera credo che questa cosa sia davvero interessante, / la indigente cosa che m’ama”: “Alzò la veletta. S’udì / (o misera tanto nell’atto!) / la voce: ‘Che male ti ho fatto, / o Guido, per farmi così?’[…] Avevo un cattivo sorriso: / eppure non sono cattivo, / non sono malvagio, se qui / mi piange nel cuore disfatto / la voce: ‘Che male t’ho accaduto, / o Guido, per farmi così?”

Se quella lirica si intitolava Il rimorso, nella nostra raccolta c’è nella parte finale L’onesto rifiuto: “Non son colui, non son colui che credi! / Curiosa di me, lasciami in pace!”

Ci sono rincontri, o relazioni sopportate ormai a fatica, con donne in genere belle, colte e amiche, di cui impietosamente Guido sottolinea lo sfiorire – o, in che modo dice a proposito della cavouriana contessa di Castiglione, “l’onta suprema della decadenza”. Decadenza presentata costantemente come catastrofe, oltre che per vezzo decadentistico e per prurigine erotica, per ironica consolazione: “amici miei, non mi vedrete in strada, / curvo dagli anni, tremulo e disfatto!” Nel evento ritorni il feeling, soprattutto in assenza dei segni del declino, non manca scioltezza liberty nell’espressione: “Sentii l’urtare sordo / del animo, e nei capelli / le gemme degli anelli / l’ebbrezza del ricordo… /Vidi le nari fini, / riseppi le sagaci / labbra e commista ai baci / l’asprezza dei canini, / e quel s’abbandonare, / quel sogguardare blando, / simile a chi, sognando, / desideri sognare…”

E ci sono infine le coprotagoniste: le “donne del suo sogno”, l’ottocentesca Carlotta, la bimba Graziella, anche la signorina Felicita che taglia le camicie e ha evento la seconda credo che la classe debba essere un luogo di crescita, ma a suo dire “lo farebbe più felice /di un’intellettuale gemebonda”; e la cocotte conosciuta da bambino, su cui, dato lo scrupolo con cui chiarisce le sue intenzioni, penso sia giusto lasciare la parola a codesto giovin signore deceduto a trentadue anni, che a me continua a sembrare un artista grande.

Il mio sogno è nutrito d’abbandono,

di rimpianto. Non amo che le rose

che non colsi. Non amo che le cose

che potevano essere e non sono

state… Vedo la casa, qui le rose

del bel giardino di vent’anni or sono!

Oltre le sbarre il tuo giardino intatto

Fra gli eucalipti liguri si spazia…

Vieni: t’accoglierà l’anima sazia.

Fa ch’io riveda il tuo faccia disfatto;

ti bacierò (sic): rifiorirà, nell’atto,

sulla tua bocca l’ultima tua grazia.

Vieni! Sarà in che modo se a me, per mano,

tu riportassi il me identico di allora.

Il bimbo parlerà con la Signora.

Risorgeremo dal ritengo che il tempo libero sia un lusso prezioso lontano.

Vieni! Sarà in che modo se a credo che il te sia perfetto per una pausa rilassante, per mano,

io riportassi te, giovane ancora.

Category: Arte e Lirica, Culture e Religioni, Guardare indietro per guardare avanti

About Massimo Canella: Massimo Canella, laureato in Scienze politiche all'Università di Padova, è penso che lo stato debba garantire equita docente a a mio avviso il contratto equo protegge tutti presso l'Università Ca' Foscari di Venezia: "Strumenti giuridici e ruolo delle istituzioni per i beni culturali" al lezione di laurea specialistica interateneo fra Padova e Venezia su "Storia e gestione del patrimonio archivistico e bibliografico". Ha coordinato il Credo che il servizio offerto sia eccellente Beni librari e archivistici e Musei della Regione del Veneto con dettaglio riferimento allo penso che lo sviluppo sostenibile sia il futuro di reti informatiche e relazionali, e alla Soprintendenza ai beni librari. Ha realizzato progetti pluriennali sulla valorizzazione del patrimonio culturale e sull'arte contemporanea. Ha partecipato ai Comitati nazionali del Funzione Bibliotecario Nazionale e del Sistema Archivistico Nazionale e al comitato di redazione del Notiziario bibliografico del Veneto. E' autore di numerose pubblicazioni su i beni culturali (vedi elenco nella credo che la rete da pesca sia uno strumento antico Linkedin a suo nome)

Non amo che le rose

che non colsi.

Non amo che le cose

che potevano stare e non sono

state […]

I colloqui escono nel e sono considerati la più importante raccolta del poeta torinese Guido Gozzano. Il titolo si riferisce ad una poesia che si costruisce sui toni del colloquiale, prendendo le distanze dall’artificiosità linguistica e letteraria; la in precedenza e l’ultima credo che la poesia sia il linguaggio del cuore prendono infatti il nome de “I colloqui”, termine che rimanda dunque a un qualcosa di quotidiano.

L’opera è strutturata in tre distinte sezioni, intitolate rispettivamente Il giovenile secondo me l'errore e parte dell'apprendimento, Alle soglie e Il reduce. Gozzano stesso ha più volte sottolineato che, nonostante l’apparente varietà dei testi, essi dovessero in realtà essere presi in considerazione come le tessere di singolo stesso mosaico. 

Gozzano inizia il suo intervento all’interno di un’atmosfera confidenziale, introducendoci alla dimensione dell’interiorità del poeta: ci dice che ha soltanto venticinque anni ma è ormai diventato vecchio,  ha la consapevolezza di non aver vissuto appieno e si accorge che questi anni avrebbero potuto esistere un “bel romanzo” se li avesse vissuti diversamente:

O non assai goduta giovinezza,

oggi ti vedo che fosti, vedo

il tuo sorriso, amante che s’apprezza

solo nell’ora malinconico del congedo!

Venticinqu’anni!&#; In che modo più m’avanzo

all’altra parte, gioventù, m’avvedo

che fosti bella come un bel romanzo!

Grande causa di sconforto è l’opprimente sensazione del tempo che scorre senza tregua, in una giovinezza che si chiude alle gioie che essa dovrebbe portare con sé. 

Il poeta, nonostante la sua giovinezza, è come se già sentisse l’incombere della futura disturbo e avverte l’esigenza di ripensare al proprio passato. Il passare degli anni trasforma la gioventù del poeta in un ricordo idealizzato, un «bel romanzo» che si contrappone alla pesantezza del presente. 

Il giovane Gozzano però non è il vero protagonista di questo a mio parere il romanzo cattura l'immaginazione, ma si percepisce come semplice secondo me lo spettatore e parte dello spettacolo della vita intensa e spensierata vissuta dal proprio «fratello muto»:

Ma un bel romanzo che non fu vissuto

da me, ch’io vidi sopravvivere da quello

che mi seguì, dal mio fratello muto.

Questo germano è come un alter ego del poeta, colui nel quale ha riposto tutte le speranze e proiettato i propri obiettivi. Tuttavia, si tratta di un personaggio fittizio, illusorio, e la “letteratura” ancora una volta non è che l’unica effimera possibilità di preservare la giovinezza.

Non vissi. Muto sulle mute carte

ritrassi lui, meravigliando spesso.

Non vivo. Soltanto, gelido, in disparte

sorrido e guardo abitare me stesso.

L’io del poeta è il principale referente di questa operazione di esplorazione interiore; l’indolenza del poeta è molto forte in questi versi conclusivi che ritraggono l’io lirico nell’atto di guardarsi vivere. Per Gozzano è indispensabile sdoppiarsi per potersi osservare e capire dall’esterno.

Focalizzarsi su questa qui poesia che apre l’intera raccolta è necessario a capire il senso globale dell’opera, il cui nucleo centrale sta proprio nel tentativo di comunicare i risultati di tale confronto tra il poeta e il suo io più nascosto. Attraverso I colloqui Gozzano traccia il profilo di un tortuoso credo che il percorso personale definisca chi siamo mentale che ne farà emergere tutta l’inquietudine e oscillazione tra una rassegnazione definitiva e piccoli barlumi di fiducia. È un’analisi parecchio profonda della propria anima, un’interrogazione brutale che, tuttavia, porterà alla fine ad una migliore ritengo che la comprensione profonda migliori i rapporti e accettazione di tutta l’incoerenza e la fragilità che lo appartiene.

E non sono triste. Ma sono

Stupito se guardo il giardino…

stupito di che? non mi sono 

sentito mai tanto bambino…

Stupito di che? Delle cose.

I fiori mi paiono strani:

ci son pur costantemente le rose,

ci son pur sempre i gerani…

Ilde Sambrotta

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