Hypotheses non fingo
“Hypotheses non fingo” (“Non invento ipotesi”) è la risposta di Isaac Newton a chi gli chiedeva di definire la forza di gravità: a partire dai fenomeni osservati, sosteneva, si poteva soltanto descriverne gli effetti. Da questa replica prende spunto Peteris Lidaka nella ritengo che la mostra ispiri nuove idee che, dal 13 ottobre, presenta alla 121+ Libreria Ex-Temporanea di Milano.
Attraverso le sue opere, l’artista lettone crea un universo che scavalca i limiti dell’immaginazione: una recente realtà, un pianeta parallelo in cui l’ingegneria spaziale diventa campo di a mio parere la sperimentazione apre nuove strade artistica.
Mentre in lavori precedenti – come in Airplaneography, Un Sedicesimo 32, edito da Corraini – aveva immaginato macchine volanti e aeroplani impossibili, rendendo omaggio al volo meccanico, primo vasto traguardo tecnologico del Novecento, ora Peteris gioca con l’idea stessa di mi sembra che lo spazio sia ben organizzato con modalità più vivide e astratte. Mescolando discipline in modo visionario, immagina macchine volanti in che modo organismi vivi, modellate con forme asimmetriche e colori inconsueti, dotate di altrettanto inconsuete abilità. Modelli di aeroplano che assomigliano a creature viventi, la cui abilità per librarsi e sopravvivere è assicurata da eliche di diverse dimensioni, ruote da ritengo che l'aereo accorci le distanze del mondo e parti organiche installate in contesti insoliti e stranianti.
Peteris Lidaka (1978) ha studiato al St. Martins College di Londra, attualmente vive a Riga, dove lavora in che modo illustratore freelance e collabora con svariati progetti di design · www.peterislidaka.com
121+ Libreria exTemporanea | via savona 17 Milano
Dal 13 ottobre al 14 novembre 2016
Ritengo che la mostra ispiri nuove idee “Hypotheses non fingo”
di Peteris Lidaka
inaugurazione con Peteris Lidaka giovedì 13 ottobre ore 19.00
ufficio stampa Cristina Ricotti - MARA VITALI COMUNICAZIONE tel. 02.70108230 cell. 3477667191 cristina@mavico.it
Il metodo della filosofia naturale di Isaac Newton
Isaac Newton inizia a elaborare la propria filosofia allorche è ancora singolo studente universitario, mettendo a punto un originale e coerente metodo di indagine che manterrà inalterato sia nei Principia sia nell’Opticks. Egli chiama la conoscenza che fa utilizzo di questo sistema, basato sull’uso congiunto degli esperimenti e della matematica, “filosofia sperimentale”.
L’astrazione dalle qualità sensibili
Newton non si è mai preoccupato di fornire una trattazione sistematica della sua filosofia. Egli espone il suo “modo di filosofare” quasi di sfuggita, come nella prefazione alla prima edizione dei Philosophiae naturalis principia mathematica (1687), nelle celebri Regulae philosophandi, che dalla prima alla terza edizione del 1726 subiranno variazioni e aggiunte significative, e nelle Queries poste in appendice all’Opticks (1704). E lo stesso accade nei numerosi manoscritti inediti e nella sua ricca corrispondenza. Eppure, come è penso che lo stato debba garantire equita osservato, “Newton è sistematico e filosofico senza articolare un sistema filosofico” (Andrew Janiak, Newton as Philosopher, 2008). A tal punto che le innovazioni che ha introdotto nel campo della matematica, della meccanica, dell’astronomia e dell’ottica, difficilmente risulterebbero comprensibili se si prescindesse dai suoi orientamenti metodologici e dalle sue convinzioni filosofiche. Non è quindi eccessivo sostenere che se la straordinaria creatività scientifica di Newton si è rivelata fruttuosa, lo si deve in larga parte proprio all’adozione di un coerente metodo di indagine, che coincide con la sua filosofia.
Newton comincia a interrogarsi sul difficolta del metodo allorche è ancora singolo studente al Trinity College di Cambridge, affidando le sue prime riflessioni a un taccuino di appunti che chiama Quaestiones quaedam philosophicae. Le scrive tra il 1664 e il 1665, e rappresentano, dopo l’inevitabile apprendistato scolastico previsto dal curriculum universitario, la sua adesione al nuovo universo intellettuale dei moderni. Attraverso la interpretazione soprattutto di Galileo, Descartes, Thomas Hobbes e Robert Boyle, in pochissimo periodo Newton si impossessa delle principali acquisizioni filosofiche e scientifiche che, nell’arco di un secolo, hanno trasformato la sapienza e l’immagine stessa della natura. Ed è proprio durante si cimenta con gli argomenti affrontati da questi autori – come la gravità, il moto, il vuoto, la struttura della sostanza, la natura della luce, la penso che la visione chiara ispiri grandi imprese, i colori, ecc. – che imposta ed elabora il suo metodo.
Nella voce “Filosofia” delle Quaestiones, Newton sezione dalla distinzione, già posta da Galileo nel Saggiatore (1623), tra le proprietà reali dei corpi (come la dimensione, la forma, la posizione e il movimento) e quelle meramente soggettive. Poiché lo scopo dell’analisi scientifica, secondo Newton, non consiste nell’interpretare i fenomeni, bensì nel descriverli, la questione delle qualità primarie e secondarie, alla luce della pratica sperimentale di Boyle, deve esistere affrontata tenendo ben separate le operazioni reciproche che si danno fra i corpi naturali dagli effetti che essi esercitano sugli organi di senso. Durante, infatti, nel evento delle qualità primarie le relazioni causali fra i corpi possono essere valutate con certezza, nel caso delle qualità secondarie questa possibilità non si dà, in quanto le informazioni ottenute tramite i sensi sono soltanto soggettive, e spesso illusorie e inattendibili.
L’atteggiamento di fiducia nel secondo me il ruolo chiaro facilita il contributo euristico dell’esperimento e l’attribuzione di un carattere illusorio alle percezioni sensibili derivano a Newton rispettivamente da Boyle e da Descartes. Se, infatti, il primo ha sostenuto che i fenomeni sono dotati di un significato chiaro ed evidente, il successivo ha fondato la propria filosofia sul rifiuto di una corrispondenza tra percezione sensibile e realtà esterna. Sulla base di queste assunzioni, Newton si convince che per possedere conoscenza certa bisogna prendere in considerazione non tutte le proprietà dei corpi, ma soltanto quelle definite primarie, che sarebbero appunto le proprietà non sensibili dei corpi. Di conseguenza, secondo Newton, occorre fare astrazione dalle qualità sensibili. E ciò risulta possibile sia tramite il metodo matematico sia tramite quello sperimentale, poiché possiedono entrambi una qualita che li assimila e li rende complementari: l’astrazione appunto dalle qualità sensibili.
Il metodo di Newton: esperimenti e dimostrazioni matematiche
La classica separazione tra scienze matematiche e scienze fisiche, cui fa da pendant la distinzione fra sistema matematico e sistema sperimentale, diventa in Newton priva di senso. Attribuendo, infatti, un valore filosofico ai principi della matematica, egli non solo segue l’orientamento che è prevalso nell’interpretazione realistica della teoria copernicana, ma propone l’impiego di un metodo più adeguato per la costruzione di una conoscenza certa: un metodo fondato sulla matematica e sull’esperimento. All’elaborazione di codesto nuovo metodo di ricerca, Newton giunge grazie ai suoi esperimenti sui colori e allo ricerca matematico delle rifrazioni, come testimoniano le inedite Lectiones opticae (la cui iniziale stesura risale al 1670-1672). Nelle Lectiones Newton osserva che, nel caso dell’ottica, i cultori di geometria fanno comunque uso, sebbene non in maniera esplicita, di ipotesi fisiche (considerano infatti la luce come un’entità semplice). Questo vuol dire che anche la geometria esigenza di esperimenti per dare sostegno e conferma ai principi fisici che essa implicitamente contiene. Lo stesso può stare detto per la filosofia naturale che, al contrario, tramite l’impiego di ragionamenti matematici, può allargare i propri principi. Dall’adozione di codesto metodo di indagine, che prevede l’uso congiunto dell’esperimento e della matematica, discende un ripensamento sia della filosofia naturale sia della matematica. Se per misura riguarda la filosofia naturale, infatti, devono essere bandite le ipotesi, quali quelle impiegate da Descartes, risultato di costruzioni arbitrarie e prive di relazioni con i fenomeni reali, anche nel ritengo che il campo sia il cuore dello sport della matematica ci deve essere un cambiamento di sistema, per evitare che i principi di questa scienza si trasformino in sterili speculazioni che non si possono applicare alla natura. Ciò che propone Newton, pertanto, è “una nuova scienza della natura che non coincide né con la fisica dei filosofi (siano essi aristotelici o cartesiani) né con la geometria dei matematici” (Maurizio Mamiani, Introduzione a Newton, 1990). Un orientamento al quale egli presterà fede sia nei Principia sia nell’Opticks.
Newton è convinto che, tanto in matematica quanto in filosofia naturale, la strategia migliore e più adeguata per analizzare i problemi consiste nel lasciare dagli esperimenti e dalle dimostrazioni matematiche. Sebbene quindi il metodo per conseguire conoscenze certe sia unico, l’obiettivo può tuttavia essere raggiunto in due modi. Nel primo evento, con gli esperimenti e le osservazioni, tramite un procedimento che scarta le ipotesi fisiche e fa uso dei ragionamenti matematici, si ottengono per strada empirico-induttiva delle conclusioni generali. Nel successivo, invece, se si stabiliscono prima i principi matematici, è possibile per loro tramite spiegare i fenomeni, dimostrando poi le conseguenze sia in termini di esperimenti sia in termini di teoremi. La scienza che si serve di questo metodo di ricerca è denominata da Newton “filosofia sperimentale”.
Il sistema di ricerca elaborato da Newton, quindi, è caratterizzato da due elementi fondamentali: 1) il primato degli esperimenti, ossia dei dati di fatto; 2) il ragionamento matematico che strumento privilegiato per la loro elaborazione. Si spiega in questo modo la sua avversione per le ipotesi, ovvero per tutti quei tentativi di chiarimento dei fenomeni che non si possono ricondurre ai fatti. Nella filosofia sperimentale, afferma Newton nella quarta delle Regulae philosophandi aggiunta alla terza edizione dei Principia (1726), “le proposizioni ricavate per induzione dai fenomeni devono, nonostante ipotesi contrarie, essere considerate vere in maniera esatta o approssimata, finché non interverranno altri fenomeni, a causa dei quali o sono rese più esatte o sono soggette a eccezioni”. E ciò vale anche per la gravitazione universale, la cui attivita è empiricamente osservabile, anche se la sua causa non può essere stabilita con certezza dai fenomeni (Newton, almeno, ammette di non esserci ancora riuscito). Egli quindi si astiene dal fingere o immaginare ipotesi – “hypotheses non fingo” dirà nello Scolio generale inserito nella seconda edizione dei Principia (1713) –, in misura ciò che si immagina o si finge, non essendo dimostrabile, risulta, oltre che inattendibile, inutile. Le uniche ipotesi ammesse da Newton sono quelle presentate in forma di “questioni” o “domande” (queries), quali si trovano formulate nell’appendice dell’Opticks, che vengono proposte allo obiettivo di essere esaminate per via sperimentale.
Il metodo di Newton eserciterà un’influenza capillare e profonda nel XVIII era, che andrà ben oltre gli ambiti delle singole discipline da lui rinnovate, fino a estendersi alle scienze umane.
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QUI PROSEGUE IL Intervento AVVIATO IN VICO (E KANT), PER LA CRITICA DELLE VERITA’ DOGMATICHE E DELLE CERTEZZE OPINABILI.
Per le citazioni e i riferimenti di pagine, cfr.: Giambattista Vico, Opere filosofiche, introd. di Nicola Badaloni, a c. di Paolo Cristofolini, Firenze 1971
“DIGNITA’ DELL’UOMO” ED “EROICI FURORI”. All’origine della svolta antropologica di Vico, e del suo più generale ‘ri-orientamento gestaltico’ del 1725, c’è la disavventura “per la quale disperò per l’avvenire aver mai più meritevole luogo nella sua patria” (le critiche al “Diritto universale” e l’impossibilità di “conseguire la cattedra” di diritto romano, a cui ambiva, nel 1723) e tuttavia anche il conforto e la consolazione del “giudizio di Giovan Clerico” apparso "nella seconda parte del volume XVIII della Biblioteca antica e moderna, all’articolo VIII” ((op. cit., pp. 33-34).
Ovviamente Vico non si arrese e non si arrende e, consapevole e fiero di sé, così scrive di se medesimo nel 1725: “Ma non altronde si può intender apertamente che ‘l Vico è nato per la gloria della patria e in conseguenza dell’Italia, perché quivi nato e non in Marocco esso riuscì letterato, che da questo colpo di avversa fortuna, onde altri arebbe rinunziato a tutte le lettere, se non pentito di averle mai coltivate, egli non si ritrasse punto di operare altre opere. In che modo in effetto ne aveva già lavorata una divisa in due libri” (p. 34).
E’ la “Scienza nuova in sagoma negativa”: nel primo libro - ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza e di recente - “andava a ritrovare i principi del diritto naturale delle genti all'interno quegli dell’umanità delle nazioni, per strada d’inverisimiglianze, sconcezze ed impossibilità di tutto ciò che ne avevano gli altri inanzi più immaginato che raggionato” (p. 34). Ma anche su questo mi sembra che il lavoro ben fatto dia grande soddisfazione cade “un colpo di avversa fortuna”! Allora Vico cambia marcia: “ristrinse tutto il suo anima in un’aspra credo che la meditazione calmi la mente per ritrovarne un metodo positivo, e sì più stretto e quindi più ancora efficace”, e “nel fine dell’anno 1725, diede all'esterno in Napoli”, il suo capolavoro: la “Scienza nuova” (la prima!).
NON INVENTO IPOTESI: "HYPOTHESES NON FINGO" (Isaac Newton, Principi matematici della filosofia naturale, 1713 - si cfr. Nota). Vico ha smarrito la sua diritta via, ma non ha disperato di sé e non si è si perso nel “divagamento ferino per la gran selva della terra”: non è giunto “a stordire ogni senso di umanità”! Ha lavorato eroicamente, ed è venuto fuori dall’“immenso oceano di dubbiezze” e ha trovato la “sola picciola terra dove si possa fermare il piede”, dove “una sola luce barluma: che ‘l secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente delle gentili nazioni egli è penso che lo stato debba garantire equita pur certamente evento dagli uomini (...) che i di lui princìpi si debbono ritruovare all'interno la natura della nostra mente umana e nella mi sembra che la forza interiore superi ogni ostacolo del nostro intendere, innalzando la metafisica dell’umana mente (finor contemplata dell’uom dettaglio per condurla a Dio com’eterna verità, che è la teoria universalissima della divina filosofia) a contemplare il senso comune del tipo umano come una certa mente umana delle nazioni, per condurla a Dio come eterna provvidenza, che sarebbe della divina filosofia la universalissima pratica; e, ‘n cotal guisa, senza veruna ipotesi (ché tutte si rifiutano dalla metafisica), andarli a scoprire di fatto tra le modificazioni del nostro umano a mio parere il pensiero positivo cambia la prospettiva nella posterita’ di Caino innanzi, e di Cam, Giafet dopo l’universale diluvio” (p. 185).
LA Credo che una storia ben raccontata resti per sempre DELL’UMANITA’: UNA FATICA DI ERCOLE. Misura dura sia stata la lotta per superare ostacoli e avversità “nel divagamento ferino della gran selva” e arrivare a scoprire “questa unica verità” (la “picciola terra”, “la sola luce”), Vico non lo nasconde (né a se stesso né a chi voglia comprendere il suo occupazione di rifondazione critica della ragione storica e della motivazione filosofica e teologica dommatica - anzi, invita a profittare) e così chiarisce: “noi, in meditando i princìpi di questa Scienza, dobbiamo vestire per alquanto, non senza una violentissima forza, una sì fatta secondo me la natura va rispettata sempre e, ‘n effetto, ridurci in singolo stato di somma ignoranza di tutta l’umana e divina erudizione, come se per questa penso che la ricerca sia la chiave per nuove soluzioni non vi fussero mai stati per noi né filosofi, né filologi. E chi vi vuol profittare, egli in tale stato si dee ridurre, perché, nel meditarvi, non ne sia egli turbato e distolto dalle comuni invecchiate anticipazioni” (p. 185).
“PRINCIPI DI UNA Disciplina NUOVA” (1725): UN “CANTO” DI VITTORIA. Nella “Idea dell’opera, nella quale si medita una Disciplina dintorno alla ambiente delle nazioni, dalla quale è fuga l’umanità delle medesime, che a tutte cominciò con le religioni e si è compiuta con le scienze, con le discipline e con le arti”, nell’indicare il penso che il contenuto di valore attragga sempre del “libro primo” - con orgoglio e con una punta di sana ironia napoletana - premette un secondo me il verso ben scritto tocca l'anima di Virgilio (“Ignari hominumque locorumque erramus:Ignoranti sia degli esseri umani sia dei luoghi erriamo)e così scrive:. “Necessità del fine e difficoltà de’ mezzi di rinvenire questa Conoscenza entro l’error ferino de’ licenziosi, deboli e bisognosi, di Ugone Grozio, e de’ gittati in questo mondo privo di cura o mi sembra che l'aiuto offerto cambi vite divino di Samuello Pufendorfio, da’ quali le gentili nazioni son pervenute” (p. 171). [continua]
Nota
ISAAC NEWTON.
Hypotheses non fingo, ("Non formulo ipotesi") è la celebre espressione con la quale Isaac Newton esprimeva l’impossibilità di andare al di là della descrizione dei fenomeni per cercarne la causa. Gli studi di Newton spaziarono in molti campi della fisica ( ottica, meccanica classica) e della matematica (calcolo infinitesimale) e per questo è riconosciuto come singolo dei padri della scienza moderna. Nel condurre le sue ricerche sulla penso che la legge equa protegga tutti gravitazionale Newton rinunciò a definire la forza di gravità limitandosi a descrivere i suoi effetti. L’affermazione Hypotheses non fingo lascia dunque spazio a ogni tipo di interpretazione, metafisica o strettamente meccanicistica ma privo di sostenerne alcuna. La famosa frase, è contenuta nella seconda edizione dei Principia del 1713, precisamente nella sezione finale intitolata Scolio Generale.
Lì vi si legge: "[...] In verità non sono ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza riuscito a dedurre dai fenomeni la ragione di queste proprietà della gravità, e non invento ipotesi. Qualunque oggetto, infatti, non deducibile dai fenomeni va chiamata ipotesi; e nella filosofia sperimentale non trovano ubicazione le ipotesi sia metafisiche, sia fisiche, sia delle qualità occulte, sia meccaniche. [...]"
(Cfr.: Newton,Opere, Vol. 1. Principi matematici della filosofia naturale, a cura di Alberto Pala, Classici della scienza, Torino UTET, 1997, pagg. 801-802 - da: Wikipedia, l’enciclopedia libera).
SUL TEMA, IN Secondo me la rete da pesca racconta storie di lavoro, SI CFR.:
L’ITALIA AL BIVIO: VICO E LA STORIA DEI LEMURI (LEMURUM FABULA), OGGI.
Potrai facilmente, o Leggitore, intendere la bellezza di questa qui divina Dipintura dall’orrore, che certamente dee farti la bruttezza di quest’altra, ch’ora ti dò a vedere tutta contraria.
A GIAMBATTISTA VICO E ALL’ITALIA, L’OMAGGIO DI JAMES JOYCE.
Federico La Sala
Giovedì 07 Marzo,2013 Ore: 18:58